Sarà finalmente messa in sicurezza e restaurata la casaforte “Gran Betun” presente nell’alto vallone di Servino, nel territorio del Comune di Ronco Canavese, grazie a un progetto di restauro redatto dall’architetto Davide Querio e finanziato in parte da un bando finalizzato al recupero dei beni architettonici del Gal Valli del Canavese.

Di questo e, più in generale, della necessità di intervenire al più presto per salvare quel poco che ancora resta in piedi di alcuni pregevoli esempi di architettura alpina nelle valli Orco e Soana, si è parlato a Ronco sabato 9 luglio nell’incontro “Abitare la pietra”, organizzato, come l’abbinata mostra fotografica ancora visitabile, in collaborazione dall’associazione culturale Lo Cher en Val Soana e dal Cesma–Formazione e cultura.

A illustrare la storia dell’evoluzione millenaria dell’abitare dell’uomo sulle Alpi è stato Marco Cima, direttore del Museo Archeologico del Canavese di Cuorgnè e autore di numerose pubblicazioni sull’argomento, il quale ha evidenziato che l’Amministrazione comunale di Ronco è stata la prima ad aver preso davvero sul serio e con azioni concrete la necessità di salvare un esempio mirabile di architettura del territorio, con il progetto di recupero della casaforte di Servino.

È una cosa importante non solo per il Comune di Ronco ma per tutta la valle Soana – ha sottolineato Cima –, perché con questo intervento questo bene storico e culturale potrà essere conservato per almeno qualche centinaia d’anni ancora”.

Come il “Gran Betun” di Servino, nelle valli canavesane che salgono verso il Gran Paradiso ci sono (ma in molti casi sarebbe ormai più corretto dire c’erano) molti altri edifici di notevole pregio e di valore storico e architettonico: da Onsino di Sparone a Pianìt di Locana, dalla casaforte di Tirolo al mitico “Castello di Pertia” sulle montagne tra Sparone e Ribordone, oggi purtroppo ormai diventato poco più di un rudere informe di pietre dirute.

Per quanto riguarda più in particolare la casaforte di Servino, Cima ha parlato di un vero e proprio “microcosmo fossile”, la cui tipologia costruttiva originaria risale a quasi un millennio fa, anche perché in alcuni sondaggi archeologici effettuati nella struttura sono emerse tracce della presenza di una fornace di calce utilizzata per la sua costruzione e alcune terrecotte databili tra il X e XI secolo.

Si tratta certamente di una delle prime caseforti costruite in queste valli, dopo quella di Pianìt di Locana: ha dunque quasi mille anni di vita e, grazie a questo progetto di conservazione e restauro, adesso potrà ancora andare avanti almeno per qualche altro secolo”, ha ribadito Cima.

L’architetto Davide Querio, incaricato della redazione del progetto di recupero del “Gran Betun”, ha evidenziato che questo bene architettonico si presenta al momento in condizioni abbastanza critiche, con evidenti cedimenti della struttura soprattutto da un lato, anche se fortunatamente le altre pareti sono ancora in condizioni decenti.

Serviranno consolidamenti dell’intero edificio, concordati con la Soprintendenza, e la facciata crollata andrà interamente ricostruita con pietra locale, mentre i serramenti saranno ove possibile salvati e il tetto, crollato da tempo, sarà ricostruito con una struttura lignea e coperto con le lose”, ha spiegato Querio. All’interno invece troveranno posto due piani da destinare a spazio di conoscenza di tutte le altre caseforti presenti sul territorio delle valli Orco e Soana, tramite appositi pannelli divulgativi, rispettando quindi le finalità del bando che prevedeva la possibilità di fruibilità del bene una volta ristrutturato.

Questo è un progetto nato dalla precedente Amministrazione comunale – ha ricordato in conclusione il sindaco di Ronco, Lorenzo Giacomino –, realizzando il quale lasceremo ai nostri figli un frammento del nostro patrimonio storico, su cui poter costruire la loro identità futura”.

E chissà, aggiungiamo noi, che questo non serva da esempio e stimolo a intervenire per altre amministrazioni valligiane: ovviamente prima che di questi beni architettonici non restino che cumuli informi di pietre, come purtroppo è già avvenuto e avverrà ancora a breve, se staremo solo a guardare senza fare nulla di concreto per salvarli.

 

Marino Pasqualone