Il 30 aprile 1982 veniva trucidato l’onorevole Pio La Torre, ucciso da sicari di Cosa Nostra mentre viaggiava a bordo di una Fiat 131 insieme al suo fedele collaboratore Rosario Di Salvo, anche lui ammazzato nell’agguato. Il deputato aveva pagato a carissimo prezzo la proposta di legge per istituire il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, il 416 bis, che prevedeva anche la confisca dei patrimoni dei boss.
Nell’anniversario di quell’evento Libera lo ha voluto ricordare in un luogo simbolo che si trova nel nostro territorio: a San Giusto c’è una villa nella quale, a quanto risulta agli inquirenti, si assumevano decisioni a livello mondiale circa il narcotraffico, e dove si nascondevano sotto terra milioni di euro per l’acquisto di enormi partite di droga. E’ la villa che lo Stato ha confiscato a Nicola Assisi, condannato a trent’anni di reclusione e latitante presumibilmente in Sudamerica, come il figlio Patrick, mentre un altro figlio, Pasquale Michael, si trova in carcere. La struttura, in attesa di essere assegnata, è affidata alla gestione all’Anbsc, agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Così lunedì mattina una cinquantina di persone è sfilata in centro a San Giusto: con la delegazione dell’associazione Libera c’erano il prefetto Renato Saccone, il sindaco Giosi Boggio, il comandante provinciale dei Carabinieri, colonnello Emanuele De Santis, l’ex deputato Davide Mattiello, che è stato relatore della modifica dell’articolo 416-ter del codice penale – in materia di scambio elettorale politico-mafioso – e del sistema di protezione dei testimoni di giustizia (e ha sollecitato l’approvazione dei decreti attuativi, di cui il “Codice antimafia” è tuttora in attesa). E, a proposito di testimoni di giustizia, alla manifestazione sono intervenuti anche Pino Masciari, imprenditore attualmente sotto protezione, e Mauro Esposito, anch’egli imprenditore e testimone chiave nell’accusa del processo “San Michele” a Torino.
“Questo è un bene simbolo, che ci racconta quanto il Piemonte sia crocevia, snodo strategico delle mafie e del narcotraffico a livello mondiale – ha spiegato Maria José Fava, referente di Libera Piemonte (dalla cui pagina Facebook sono riprese le fotografie) -. Con questo gesto vogliamo dire che la mafia restituisce il maltolto”. “Anche se le mafie non portano sangue per le strade, sono una rovina per il nostro Paese. Lo Stato ci deve essere anche come comunità, che si riappropria di questo bene. C’è voluto molto tempo, come nel 1982, ma oggi siamo qui”: questo il commento finale del prefetto di Torino, Renato Saccone.