Papa Francesco è appena rientrato dal suo viaggio in Cile e Perù, dove ha sottolineato più volte il tema del popolo di Dio e ha riconosciuto i diversi popoli quale vera ricchezza della Chiesa. Quante volte nei suoi viaggi Papa Francesco e, prima di lui, tutti i Papi viaggiatori si sono commossi di fronte ai gesti di affetto “non protocollare” e all’entusiasmo “non finto” dei papà e delle mamme di ogni continente che sollevavano i loro figli come a dire “Ecco la mia ricchezza, ecco il mio futuro, benedicilo”. Abbiamo visto Francesco, Benedetto, Giovanni Paolo, papi di Santa Romana Chiesa rapiti dai colori e dai ritmi delle danze e dei costumi di popoli che conservano gelosamente le loro antiche tradizioni con cura, dignità e orgoglio. Popoli così diversi, eppure uniti dalla speranza suscitata in loro dall’annuncio che Dio li ha voluti e li ama così come la loro storia li ha plasmati. Voluti affinché, come loro, tutti i popoli e le nazioni possano riconoscersi figli di un unico Dio che ha voluto entrare nella storia e, pian piano, attraverso i suoi seguaci, raggiungere ogni angolo della terra.
Una mia cara amica missionaria comboniana vive a Dubai ed un “vecchio” (si fa per dire) collega di cooperazione ora lavora ad Abu Dhabi. In occasioni diverse, mi hanno raccontato che, anche a causa della complessità della organizzazione delle giornate lavorative e del week end, dal venerdì alla domenica, dalla mattina alla sera si susseguono, nelle poche chiese a disposizione, messe dopo messe, affollatissime, soprattutto da filippini e altri popoli di lavoratori all’estero.
In poche ore ho incontrato tre filippini. Prima il sacrestano che fa il chierichetto e raccoglie le offerte alla messa mattutina; poi, al bar, un ottimo cappuccino mi viene offerto da un sorridente barista; infine una minuta e graziosa cameriera mi serve il pasto di mezzogiorno.
Qualche tempo fa, una domenica pomeriggio, sono entrato nella Chiesa di Maria della Consolazione, una piccola chiesa in Largo Cairoli a Milano. Alle 15 la bellissima chiesetta era completamente “invasa” dalla comunità filippina che onorava la statua del Santo Niño de Cebu, visibile nella prima cappella di sinistra. Decine di famiglie cantavano e pregavano in lingua tagalog, con un’armonia ed una devozione impressionanti.
Abbiamo avuto un papa venuto da lontano ed ora un papa che viene dall’estrema periferia del mondo. La chiesa oggi ha anche il dono del coraggio della verità e della testimonianza semplice dei cristiani di un popolo che viene da lontano.
Filippo Ciantia