(Filippo Ciantia)
La foto del Cristo ligneo, scattata mentre l’opera d’arte viene portata in salvo è diventata virale, diffusa dai social e spunto per numerosi articoli sul popolo crocefisso: donne e bambini nelle cantine e in metropolitana, in fuga verso i confini o zone forse più sicure. E i poveri morti sulle strade e nelle case sotto le bombe, la cui dignità sta nella coperta che copre l’orrore o nelle rovine che fanno da bara.
Anche Cristo è finito nel bunker con la gente che fugge dai bombardamenti. Cristo Salvatore è portato a braccia, come i bambini e gli anziani, nel rifugio per evitare la distruzione. Parte di un altare ligneo del XVIII secolo, Cristo non pende dalla croce: c’è solo il suo corpo. La sua croce viene portata dai poveri cristi travolti dalla guerra.
Il crocifisso era custodito nella chiesa armena di Leopoli, un luogo di culto testimone dei travagli e delle sofferenze di due popoli. Negli anni Quaranta, i religiosi ucraìni della cattedrale di rito armeno, compreso il parroco, furono deportati in Siberia e uccisi. La chiesa rimase chiusa fino al 2003 quando venne riconsacrata e riaperta al culto. Una chiesa che lega l’Ucraìna all’Armenia, dove un altro popolo è stato vittima di violenze e sterminio. Solo lo scorso settembre si è conclusa, nel silenzio dell’indifferenza globale, una sanguinosa fase del lungo conflitto tra Azerbaijan (sostenuto dalla Turchia) e Armenia. Si stima che ci saranno 5 milioni di profughi da questo Paese sul confine degli imperi.
“L’armenità è come una traccia di flauto, che l’orecchio appena percepisce ai confini dell’udito; come due profondi occhi orientali neri sotto sopracciglie foltissime, intravisti in filigrana dietro paesaggi consueti… L’armenità è sapere che in ogni dove c’è uno simile a te, che ha una simile storia alle spalle; che due si incontrano in un qualsiasi caffè del mondo, scoprono che il loro nome termina in –ian, cominciano a parlare e si scoprono presto cugini… L’armenità è sentire in sé stessi l’eco e il ricordo delle vaste pianure dell’Anatolia e dei morti che ancora le abitano, e là hanno lasciato le flebili voci del loro rimpianto” (Antonia Arslan)
L’ucrainità racconterà nei secoli un altro dramma, di guerra ed esilio. E, se salviamo Cristo nelle nostre sorelle e fratelli, narrerà anche pace e riconciliazione.