(elisa moro) –Poiché doveva avvenire che la Vergine Madre di Dio nascesse da Anna, la natura non osò precedere il germe della grazia. O felice coppia, Gioacchino ed Anna! A voi è debitrice ogni creatura”. 

Così scriveva san Giovanni Damasceno, Padre e Dottore della Chiesa, nei suoi “Dialoghi”, sulle sante figure di Gioacchino e Anna.

Il nome di Anna deriva dall’ebraico Hannah (grazia) mentre Gioacchino significa, sempre dall’ebraico, “Dio rende forti”.

Secondo una tradizione, ripresa dal vangelo apocrifo di San Giacomo, Gioacchino e Anna avevano una casa a Gerusalemme, a due passi dalla piscina probatica, dove si riuniva un gran numero di malati e dove Gesù, ormai adulto, avrebbe guarito un paralitico.

Nelle Scritture, Anna e Gioacchino non appaiono mai ma, secondo i Padri orientali della Chiesa, la loro storia è simile a quella di Elkanà e Anna del Primo libro di Samuele (1-28), dove le preghiere di lei, sterile, vengono ascoltate dal Signore che le concede un figlio, il futuro profeta Samuele.

Le storie dei genitori di Maria sono raccontate diffusamente nei Vangeli apocrifi, prima nel Protovangelo di Giacomo, risalente alla metà del II secolo d.C. e quindi nel Vangelo dello Pseudo-Matteo e nell’Evangelium de nativitate Mariae, per poi essere trascritti nella medioevale Legenda Aurea di Iacopo da Varazze.

Nei racconti ci si sofferma a ricostruire la loro genealogia e il loro stato sociale perché diventi chiaro il filo rosso del tempo che, dalla tribù di Levi per Anna e la stirpe di Davide per Gioacchino, conduce alla nascita di Gesù Cristo, Dio venuto sulla terra ma anche Uomo della storia.

Il culto di Gioacchino e di Anna si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente (anche a seguito delle numerose reliquie portate dalle Crociate); la prima manifestazione del culto in Oriente, risale al tempo di Giustiniano, che fece costruire nel 550 circa a Costantinopoli una chiesa in onore di s. Anna.

L’affermazione del culto in Occidente fu graduale e più tarda nel tempo, la sua immagine si trova già tra i mosaici dell’arco trionfale di S. Maria Maggiore (sec. V); ma il suo culto cominciò verso il X secolo a Napoli, fino a raggiungere la massima diffusione nel XV secolo, al punto che papa Gregorio XIII (1502-1585), decise nel 1584 di inserire la celebrazione di s. Anna nel Messale Romano.

Le figure dei santi genitori della Vergine Maria permettono di fare una riflessione quanto mai attuale sul tema della famiglia e dell’educazione, sulla trasmissione di valori tra le generazioni.

In una società che sempre più sta incarnando il progetto “diabolico” per combattere le famiglie, già preannunciato nel 1970 da Eugenio Montale, a Milano, nel corso del 25esimo anniversario del lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, le figure di questi due Santi si collocano come fari di luce e segno di speranza e contraddizione.

In quell’occasione, infatti, il poeta Premio Nobel (per la Letteratura, 1975) insegnò che:

“è giusto ricordare quel drammatico momento nella speranza che non si ripeta mai più. Ma …sta scoppiando la bomba atomica della famiglia, e forse farà più vittime e più ferite della bomba atomica esplosa ad Hiroshima e Nagasaki. E la bomba la stanno collocando i mezzi di comunicazione, presentando falsi modelli di vita”.

Papa Francesco, nel corso della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro del 2013, commentava a riguardo:

“Guardando all’ambiante familiare vorrei sottolineare una cosa: … Quanto sono importanti (i nonni) nella vita della famiglia per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società! E come è importante l’incontro e il dialogo tra le generazioni, soprattutto all’interno della famiglia. Il Documento di Aparecida ce lo ricorda: «I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita» (n. 447)”.

Questo tema, così rilevante, è fonte di approfondimento anche nel documento “instrumentum Laboris” del Sinodo dei Vescovi: “l’annuncio del Vangelo della famiglia è parte integrante della missione della Chiesa. Nel tempo odierno, la diffusa crisi culturale, sociale e spirituale costituisce una sfida per l’evangelizzazione della famiglia, nucleo vitale della società e della comunità ecclesiale”.

La famiglia è immagine della Chiesa, anzi, è Chiesa domestica, prima testimone del Vangelo incarnato e vissuto nella quotidianità, immagine viva della maternità vissuta, di trasmissione della fede ai più giovani, con semplicità; in altre parole, scriveva San Girolamo, “la Chiesa altra cosa non è se non le anime di coloro che credono in Cristo” (Tract. Ps 86: PL26,1084).

Guardando a San Gioacchino, ma soprattutto a Sant’Anna, la cui devozione nei secoli si è maggiormente diffusa, manifestandosi anche sia a livello artistico sia popolare, si è chiamati a essere autenticamente Chiesa, per giungere a contemplare il Volto di Cristo. Nella terza cantica della Commedia (32,133-135) Dante Alighieri ha immortalato Sant’Anna che, in Paradiso, è “tanto contenta di mirar sua figlia, /che non move occhio per cantare osanna”.

Per l’eternità, Anna estaticamente e amorosamente ferma il suo sguardo sul volto della Figlia, cantando, al contempo, le lodi a Dio.

In due soli versi, in una doppia estasi, Dante fornisce la privilegiata via da seguire, nel cammino cristiano, già percorsa dai Santi Gioacchino e Anna: la fiducia amorevole in Maria e la ferma speranza nell’amore misericordioso di Dio, il solo che fa elevare il canto nuovo (Sal. 97) ed eterno, verso Colui che “fa nuove tutte le cose” (Ap. 21, 5).

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