Il mondo delle persone un po’ più cresciute spesso percepisce noi giovani come esigenti, pronti a reclamare qualsivoglia tipo di diritto senza assumersi alcuna responsabilità. Non è vero per una buona percentuale delle volte, tuttavia questo superficiale costrutto qualche volta trova riscontro, soprattutto riguardo alla privacy: un diritto fortemente rivendicato, ma spesso trascurato nei comportamenti quotidiani. Qui l’analisi si sposta nel mondo digitale, habitat nativo di intere generazioni e cultura plasmante per molte altre. Raramente si comprende appieno che ciò che viene condiviso online diventa pubblico, e se ne perde il controllo. Il che significa che potrebbe non vederlo mai nessuno, così come potrebbe diventare virale e finire sulle homepage dei ragazzi di tutto il mondo.
Durante le scuole medie mi avvertivano che ciò che avrei postato avrebbe potuto essere visto perfino da chi un giorno mi avrebbe selezionato per un posto di lavoro. Oggi, per sapere chi qualcuno veramente sia è, si guarda il suo curriculum; per conoscerlo nella realtà, prima ancora di un incontro personale, si visitano i suoi profili social. E qui è più difficile mentire.
Sfido i giovani lettori a fare un test: aprite la pagina dei contenuti consigliati di Instagram, fate uno screenshot e analizzate un box alla volta. C’è tutto di noi lì dentro: cosa ci piace vedere, le nostre passioni, i nostri modelli di vita, chi conosciamo. Perfino cosa pensiamo, cosa saremo indotti a pensare di un determinato argomento, quelle passioni che nascondiamo al mondo, chi di-sprezziamo, chi potremmo votare, quali guide seguire, quale humor ci piace… Siamo profilati meglio di quanto ci conosciamo noi stessi.
È triste dover prendere atto di come questo non ci faccia cambiare approccio, non ci destabilizzi, non ci preoccupi. Nessuna reazione. Come se fossimo assuefatti, come se lasciassimo agli algoritmi la più totale conoscenza di noi stessi.
Nella comunicazione corporativa di stampo antropologico si studia che un’organizzazione funziona e gode di reputazione quando c’è coerenza ed armonia fra identità, cultura e discorso pubblico. In altre parole, quando c’è consonanza fra ciò che si è, ciò che si fa e ciò che si dice. Questo vale anche per noi. Se non sono quello che comunico, o cambio la mia comunicazione o ripenso la mia identità: è naturale che questi due aspetti vadano ad armonizzarsi. Quindi se all’inizio della nostra vita sui social l’immagine costruita non corrisponde alla nostra identità, alla lunga è molto probabile che queste si uniscano.
Quale cederà? Sicuramente la più debole. E personalmente ho qualche idea su quale possa essere…