Il vangelo di questa ultima Domenica di Quaresima è un vangelo dal gusto amaro. Nonostante vi sia la voce stessa di Dio Padre ad intervenire, esattamente come tante volte nella nostra vita, restiamo impassibili al suo ascolto, focalizzati più sulla tristezza che coglie i discepoli, che sulla profondità del mistero che stiamo per vivere. Gesù è il chicco che muore, è il maestro che “ci sta lasciando soli”.

Quanto ci sentiamo legati a questa persona che ci ha parlato, chiamato e amato, quanto desiderio di gridare ancora, all’unisono con i discepoli di Emmaus, quel nostalgico “resta con noi” (Lc 24,29), non ci lasciare “perché si fa sera” (Lc 24,29) sul nostro giorno, e i problemi della nostra vita sono alle porte. “Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna?” (Gv 6,68). Però una domanda spontanea e veritiera sorge nel cuore, lo crediamo per davvero? Siamo noi a parlare o è una fame umana a farcelo dire?

Una fama di rapporti, di vita, di amicizie… Tutto legittimo e giusto, ma solo questo è Gesù? “Un Dio tappabuchi” venuto per non farci sentire soli? Ebbene no, ed esattamente per questo il Vangelo pare ruotare attorno a quelle parole scandite da Dio: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!” (Gv 12,28). Che cos’è questa glorificazione? In Giovanni, con il termine “glorificazione” egli intende chiamare la Passione che Gesù affronterà in croce.

Gesù è glorificato in quanto, per mezzo della sua sofferenza, rivela il volto benevolo del Padre, del quale egli infatti dice nell’ultima cena, rimproverando Filippo: “Non sapete che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Gv 14,10). Gesù è il Dio della libertà – quella vera però – si fa mettere liberamente in croce per mostrarci nel dolore, ovvero nel punto più delicato e cruciale dell’esistenza umana, il volto misericordioso di Dio che ci sostiene e ci fa da ponte verso di Lui.

Di fronte all’esperienza della nullificazione, ovvero di fronte alla malattia e, in ultima analisi, la morte, l’uomo si trova smascherato di tutti quegli schemi che caratterizzano i suoi rapporti, per incontrare a cuor nudo, cioè in semplicità, esattamente come neonati, colui che dal principio ci ha pensato e donato la vita. Proprio in questa prospettiva Gesù dice a Nicodemo: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio” (Gv 3,3).

Il ritornare a essere bambini è allora più che un richiamo morale, è un richiamo a ricercare quell’immagine di Dio che con la crescita si è assopita in noi, per scoprire non tanto un’identità concettuale di Gesù, come quei greci del Vangelo, ma per riscoprire bensì se stessi come figli nel Figlio, ovvero illuminati dalla Sua Grazia, che è la vita di Lui che si promana in noi.

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Gv 12,20-33

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono:
«Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.