Il cammino sinodale che la Chiesa ha intrapreso “poggia” sulla necessità di ascoltare. Spesso dato per scontato o, peggio, ritenuto inutile, l’ascolto è un’attività che pratichiamo per lo più in modo selettivo. Ascoltiamo ciò che non ci smuove, ciò che vogliamo sentirci dire, ciò che ci conviene… Aprire le orecchie al mondo, invece, può fare bene. Non significa svendersi, né dire di sì a tutto e a tutti, ma quantomeno riconoscere l’esistenza di altre voci e, se si parla di noi, considerare il giudizio che gli altri si sono costruiti su di noi. Le conseguenze, poi, andranno approfondite con i dovuti mezzi e competenze.

Sono andato con un amico ad un concerto. Eravamo completamente fuori luogo, e lo abbiamo capito già dalla gente in fila fuori dal locale. Ma la cantante piaceva a entrambi, così siamo andati oltre le apparenze e siamo entrati. Lei si chiama Anna Castiglia, ha pochi anni più di me, un passato da studentessa fuori sede tra Torino e Milano, una vena swing ammaliante e una penna giocosa e pungente. Recentemente ha pubblicato una canzone, dal flow meraviglioso, che aveva scritto quand’era più giovane: “le chiese sono chiuse”. Già di per sé significativo. Ma una frase, in particolare, mi ha colpito: “Ma le chiese sono chiuse pure quando sono aperte”. Mi è sembrata una riflessione interessante, una denuncia di una parte massiccia del mondo a cui bisogna dare una risposta.

All’inizio pensavo fosse la voce di chi si era allontanato dalla Chiesa da grande, ma poi, durante il concerto, Castiglia ha raccontato di non aver mai ricevuto né Comunione né Cresima. Questo mi ha fatto pensare che la sua analisi sia frutto di stereotipi, di una cattiva reputazione che la Chiesa ha presso una discreta fetta della popolazione.

Qual è il problema? Per dirla in termini comunicativi, l’immagine percepita non coincide con l’identità reale. Chi vive la Chiesa ogni giorno sa – perché lo sperimenta – che essa non è chiusa, perché il messaggio di Dio è per tutti, non ha confini e non si ferma di fronte a sterili ideologie. Questo concetto, però, fatica ad arrivare, e così la percezione rimane quella di una chiusura totale.
Per avvicinare percezione e identità, bisogna lavorare in primis dall’interno, perché la Chiesa non sono solo le grandi cattedrali: siamo noi, che ogni giorno la viviamo. La nostra testimonianza descrive la Chiesa. Se oggi viene percepita come chiusa, significa che, in qualche modo, tutti noi abbiamo sbagliato qualcosa.