Non è difficile rendersi conto quanto la sfiducia abbia pervaso gli italiani; lo dicono gli osservatori economici, le agenzie di statistiche, le associazioni di categoria, ma anche la borsa della spesa della massaia e gli indici negativi di chi chiude bottega e impresa, della produzione industriale in calo, dei continui esuberi e perdite di posti di lavoro, dei consumi al ribasso.
Malgrado il desiderio di raccontare che la vita è bella, la nostra pagina 13 di economia e lavoro di oggi, e qualche altro pezzo qua e là nel giornale, sono come un campo di battaglia zeppo di feriti e malandati. La mancanza di fiducia degli italiani, manifestata da pessimismo e rassegnazione, si è tramutata in paura del futuro.
Dai giovani ai pensionati, passando per i lavoratori –ancor più se donne – l’orizzonte è cupo. Il sogno del dopo 4 marzo 2018 si è già trasformato in incubo e il cambiamento miracoloso, interpretato da alcuni e sperato da altri, lascia inesorabilmente giorno dopo giorno, il posto alla perdita della speranza di crescere e di migliorare.
Come è stato possibile che da un vistoso cambiamento uscito dalle urne quel 4 marzo 2018 si sia tirato fuori così poco, e nel merito sia stato fatto così male, dal punto di vista delle politiche di governo? La risposta è che tutto l’anno è stato dominato dall’improvvisazione politica e ogni iniziativa è stata come una partita a dadi.
Ma fino a quando? Abbiamo scritto che dopo marzo 2018 siamo stati presi dentro ad una lunga ed estenuante campagna elettorale dove, si sa, prevalgono da un lato le promesse che sono l’anima della campagna stessa e dall’altro il tergiversare nelle decisioni politiche di cui, invece, il Paese ha urgentemente bisogno, e questo per evitare di scontentare qualche bacino elettorale importante. Andreotti il 17 febbraio del 1991 pronunciò una delle frasi che rimase negli annali della politica del nostro Paese. Ciriaco De Mita disse che era “meglio andare alle elezioni anticipate che tirare a campare” e Andreotti fece eco con la battuta “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Detta oggi e contestualizzata al clima politico odierno quella battuta è quanto mai d’attualità. Non si intravvedono cure per aumentare la fiducia degli italiani, la fiducia vera, concreta, palpabile, che è poi quella che fa venire voglia di fare di nuovo impresa, incentiva lo spirito di iniziativa, gli investimenti, i consumi facendo crescere il “drammatico” Pil.
Gli studi degli esperti ci dicono che le famiglie italiane posseggono 1.371 miliardi sui conti correnti e deposito; parcheggiati lì senza nemmeno vincolarli. Perché? Per la paura del futuro incerto, dovesse mai accadere qualcosa che va di traverso. Gli italiani, oggi, risparmiano l’8% del loro reddito e lo portano in parcheggio in banca a interessi zero. Solo la fiducia spingerebbe gli italiani a rimettere in circolo questo denaro, a investirlo e a consumarlo facendo girare l’economia. Il sud si spopola con un tasso di disoccupazione – rileva l’Istat – del 18,4% cioè circa tre volte quello del nord che è del 6,6% e doppio di quello del centro attestato al 9,4%. E il nord non dà più lavoro.
La società è disgregata, la gente impaurita, incattivita e impoverita. Tutta colpa dell’economia nazionale e domestica che zoppica? Non tutta, ma è chiaro che laddove manca fiducia nell’avvenire, con tutto ciò che questo comporta già oggi nel nostro vivere quotidiano, si insinuano più facilmente anche pensieri, azioni e linguaggi socialmente destabilizzanti, se non addirittura pericolosi.
C’è modo di ritornare nella realtà?