Ieri, mercoledì 7 febbraio ricorreva la giornata mondiale contro il bullismo ed il cyberbullismo, fenomeni tristemente attuali capaci di trovare forme e sistemi per ledere la dignità di tante vittime. Il bullismo è definito come il verificarsi e ripetersi di atti di violenza fisica, verbale o psicologica, intenzionali e ripetuti che, il bullo o la bulla, mettono in atto a danno di qualcuno.
Il report sulla criminalità minorile in Italia, del novembre 2023, a cura del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, racconta che le segnalazioni di reati commessi tra i giovani di età compresa tra i 14 ed i 17 anni sono aumentate del 15,34% dal 2010; 32mila522 nel 2022.
Aumentano le gang giovanili, spesso composte da meno di 10 soggetti, in prevalenza ragazzi, che commettono reati violenti e atti di vandalismo e bullismo contro i coetanei, e che usano i social per affermare la loro identità come gruppo, perché commettere atti violenti avrebbe la funzione di uscire dall’anonimato e dall’indifferenza.
La Relazione Annuale del Parlamento sul Fenomeno delle Tossicodipendenze 2023 riporta che il 47% degli studenti nella fascia d’età 15-19 anni ha dichiarato di aver subito episodi di cyberbullismo (il 31% in più rispetto al 2018) e per tutte le fasce d’età sono più numerose le ragazze a riferire di aver subito episodi di molestie e violenza online.
Questi dati dimostrano l’abbassamento dell’età di chi commette atti di violenza, Con la conseguenza che, più è bassa l’età di commissione dei reati, più la “carriera” criminale rischia di essere lunga.
Quali le cause? Certamente l’assenza di controlli sociali informali (nella scuola e nella famiglia, ad esempio), la consapevolezza degli scarsi effetti giuridici derivanti dalla commissione di un reato se minore d’età, la non completa maturazione della personalità dell’individuo.
Gli esperti sono concordi nell’affermare che gli autori di reato mostrano carenze nelle competenze empatiche, nelle condotte impulsive e nel ruolo che il gruppo ha nel condizionare i comportamenti di chi vi appartiene sia deindividualizzando la responsabilità del singolo sia favorendo l’approvazione sociale.
Ci sono state proposte di legge per abbassare l’età imputabile dai 14 ai 12 anni, ma forse sarebbe il caso di dedicare maggiori risorse ed energie a favore delle politiche sociali e permettere, non solo ai minori che hanno commesso reati ma anche alle loro famiglie e comunità locali, di attuare politiche educative e offrire possibili percorsi di giustizia riparativa. Il solo supporto alle vittime appare ormai misura insufficiente da realizzare per contrastare le diverse forme di violenza.
Dovrebbe essere buona pratica, senza attendere la giornata contro il bullismo di parlare di violenza nella scuola e insegnare ai bambini a riconoscerla, oltre che introdurre elementi legislativi e di diritto comprensibili anche a chi è in giovane età. Su tutto, occorre favorire contesti in cui il dialogo e l’attenzione verso l’altro sia l’abitudine.