(elisa moro) – “Siamo venuti per adorarlo” (Mt. 2, 2): la Solennità dell’Epifania, della manifestazione e rivelazione a tutte le genti del Bambino nato a Betlemme, il Figlio di Dio fatto uomo, contiene al suo interno un respiro ampio e profondo, permettendo di allargare lo sguardo alla stessa Pasqua – il cui annuncio avviene proprio al termine della liturgia di questo giorno – e al compimento stesso del mistero della salvezza.
Un’interessante allusione propone di comparare l’Epifania alla pienezza del mistero pasquale, che si realizza nella Pentecoste, legandone, per così dire, le due feste:
“cinquanta giorni sono necessari allo svelamento del mistero della risurrezione per tutti i popoli, che si radunano davanti al Cenacolo per ricevere dalla bocca degli apostoli l’annuncio della vittoria di Cristo; dodici notti (dopo Natale) sono necessarie perché il Bambino sia trovato con gioia da questi misteriosi personaggi” (Fratel Michael Davide, p. 105).
Senza soffermarsi sui significati teologici e simbolici legati ai Magi e ai preziosi doni recati, splendidamente descritti da diversi Padri della Chiesa, richiamandone in particolare le allusioni alla Passione e allo stesso sacrificio in Croce per la salvezza dell’umanità, merita invece porre l’attenzione sul senso attuale di questo cammino, mosso dalla luminosa stella cometa, che conduce ad un incontro vero e unico con la Persona di Cristo.
“Camminare per adorare”: San Leone Magno, in un brano dedicato a questa Solennità ricorda che:
“ (…) i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra ” (Discorso 3).
In primo luogo i Magi sono dei cercatori, uomini assetati di verità e di giustizia (cfr. Mt. 5, 6), disponibili a lasciarsi interrogare e arricchire dalle inesauribili profondità che la vita e la storia offrono.
Sono immagine del vero discepolo che adopera la ragione nel credere, visto che “credere null’altro è che pensare asserendo. Chiunque crede pensa, e credendo pensa e pensando crede. La fede se non è pensata è nulla” (Fides et ratio, 9).
Essi vedono una stella che li attrae, li seduce (Ger. 20,7), spingendoli a passare dal con-siderarla (guardarla) al de-siderarla (sceglierla), fino ad eleggerla come guida stessa, emblema di quella divina:
“Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” (1 Gv 1, 5).
Più volte, infatti, nella storia biblica, Dio ha mandato segni luminosi per guidare il popolo verso il luogo da Lui prescelto.
Come non ricordare, ad esempio, la nube in Nm. 9, 15-23, che accompagnava gli ebrei nel deserto e che, nel corso della notte, assumeva l’aspetto del fuoco?
È tuttavia nel Libro della Sapienza, scritto pochi decenni prima della nascita di Gesù, che si precisa meglio la funzione e l’immagine di questa nube: Dio diede al popolo pellegrino
“una colonna di fuoco come guida in un viaggio sconosciuto e come sole innocuo per il glorioso migrare” (Sap. 18, 3), una
“luce di stelle nella notte” (Sap. 10,17).
Con l’agostiniana inquietudine del cuore, quella stessa che tante volte l’attuale società tenta di “narcotizzare”, i Magi
“hanno seguito la stella; attraverso il linguaggio della creazione hanno trovato il Dio della storia” (Benedetto XVI, omelia del 6 gennaio 2012), il nuovo e vero Re, davanti al quale si sono prostrati in segno di totale adorazione.
“Adorare per camminare”: l’adorazione comporta anche un dono, che, nel caso dei Magi, può diventare icona di pienezza, simbolo di una fede che diventa fiducia e servizio, di una speranza che è capace di sciogliere le vele e di un’autentica condivisione e comunione d’amore.
I doni a Colui che si è fatto Dono indicano che la meta è raggiunta, i Magi hanno concluso quel viaggio fisico che li ha condotti a Betlemme.
Inizia ora, citando le parole di Papa Benedetto XVI alla veglia della GMG di Colonia del 2005, nel cui Duomo sono venerate le Reliquie dei Magi,
“(…) un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita. Perché sicuramente avevano immaginato questo Re neonato in modo diverso… Dovevano imparare che Dio è diverso da come noi di solito lo immaginiamo. Qui cominciò il loro cammino interiore… Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo il potere inerme dell’amore, che sulla Croce – e poi sempre di nuovo nel corso della storia – soccombe, e tuttavia costituisce la cosa nuova…Ora imparano che devono donare se stessi – un dono minore di questo non basta per questo Re. Ora imparano che la loro vita deve conformarsi a questo modo divino di esercitare il potere, a questo modo d’essere di Dio stesso. Devono diventare uomini della verità, del diritto, della bontà, del perdono, della misericordia. Non domanderanno più: Questo a che cosa mi serve? Dovranno invece domandare: Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo? Devono imparare a perdere se stessi e proprio così a trovare se stessi” (Veglia di preghiera con i giovani della GMG a Colonia, 20 agosto 2005).
E’ questo il continuo e mai concluso cammino non solo dei Magi, ma di ogni discepolo, chiamato a rinnovarsi e mettersi in cammino verso la vera Luce, seguendo l’invito del profeta Isaia:
“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce… Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60, 1-3).
Questo è il compito del discepolo, quello di attrarre, nell’ordinarietà della vita nelle azioni quotidiane, mediante la testimonianza dell’amore concreto, tutti gli uomini a Dio:
“così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 16), fino a diventare “epifania” incarnata, vissuta, nell’apertura del cuore alla Grazia e aderendo in pienezza alla Parola rivelata.