di Cristina Terribili

“Al mio segnale, scatenate la comunità!”. Il nostro presidente Sergio Mattarella ci ha chiamato e ci ha trovato pronti, vigili, attrezzati, ognuno con le proprie capacità, con la propria volontà e ostinazione nel credere nel bene comune. Tanti numeri fa, mi viene da dire, ho raccontato la favola della pentola piena di sassi e così, parafrasando quella storia, ho sentito che il Presidente, sin dalle prime parole del discorso di fine anno, ci invita a raccolta, parlando di comunità e declinando il termine in tutte le sue accezioni.

Il bisogno di comunità che la società civile richiede è lo stesso che ci può proteggere e ci può far sentire sicuri, meno soli, più capaci di trovare sostegno e risposte per i nostri problemi. Perché “Sentirsi ‘comunità’ significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa ‘pensarsi’ dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese”.

Essere comunità, sentirsi parte di qualcosa di grande, di condiviso, con la nostra unicità, è un principio etico che ci ha visto sempre in prima linea. Più sentivamo le spinte divisioniste, con i toni che diventavano aggressivi e volgari, più noi de Il Risveglio Popolare, attraverso i nostri articoli, attraverso le nostre riflessioni, abbiamo sentito l’urgenza di rimandare alla comunità come unica prospettiva di benessere.

Abbiamo parlato di comunità che cura, che educa, che accoglie, che è in grado di condividere le proprie risorse per favorire circoli virtuosi; abbiamo fatto riferimento alla comunità a protezione di ogni violenza sulla donna e ad ogni forma di aggressione rivolta a chi è più indifeso; alla comunità che è capace di rendere e mantenere vivi i propri usi e costumi, le proprie tradizioni e che è sicura di poterle donare e condividere con gli altri perché consapevole che tramanda un’eredità importante, così come è anche capace di integrare eredità e conoscenze che vengono da altri paesi e culture senza sentirsi minacciata; una comunità che sa essere solidale e generosa con chi si trova in difficoltà, che riconosce nell’altro se stesso, degno di ogni diritto e grazie a questo capace di assumersi la responsabilità di un vivere civile.

Mattarella ci esorta dicendoci che “non dobbiamo aver timore di manifestare buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società”; che non dobbiamo cedere all’ignoranza, alla cattiveria, che i nostri sogni di pace, i nostri desideri di una vita piacevole per noi e per i nostri figli, per le generazioni che verranno ancora dopo, possono essere ascoltati e realizzati. Che possiamo partire da noi in ogni momento, come per i buoni propositi, e se ognuno di noi accetta questa chiamata scopriamo di essere in tanti, che non siamo strani idealisti che possono essere additati e ridicolizzati, ma che possiamo mettere all’angolo chi fa lo sbruffone, chi ci bullizza.

Insieme, possiamo uscire da quella condizione di emergenza, che ci impone di correre a “tappare buchi” consapevoli che si tratta di interventi solo parziali e che abbiamo bisogno di lunghi periodi di stabilità per progettare un lavoro di lunga durata, che possa garantire sviluppi e possibilità per tutti. Quei sentieri che attraverso il nostro impegno abbiamo realizzato, devono diventare strade che invitano al cammino anche a chi non ha mai pensato che fosse possibile percorrere certi luoghi.

Allora avanti, riconosciamoci, alziamoci in piedi di fronte a questo appello, facciamoci vedere che ci siamo, che siamo pronti, che si può avere fiducia del nostro essere piccole formichine, ma fortissime nel nostro stare insieme, lavoriamo a testa alta, orgogliosi di quanto stiamo realizzando, perché ogni gesto vale. Vale se cominciamo a scambiarci un saluto con chi, seppur vicino, ignoriamo; vale ogni minuto del nostro tempo che dedichiamo all’ascolto di un altro; vale ogni mano tesa a sostenere chi è in difficoltà, ogni rifiuto gettato correttamente, ogni attenzione che richiediamo a noi stessi e agli altri nei riguardi di ciò che ci circonda.

Proviamo a dircelo nella nostra testa e poi a voce alta: “Siamo pronti Presidente!”.