Poche rose e molte spine per i leader politici in questo turbolento inizio d’anno. La premier Giorgia Meloni, dopo l’arresto del boss Messina Denaro, è accorsa a Palermo per congratularsi con i magistrati e le forze dell’ordine, rivendicando con orgoglio il ruolo dello Stato nella lotta alla mafia. Ma la sua soddisfazione è stata subito incrinata da un furibondo attacco del ministro della Giustizia Carlo Nordio ai magistrati, a cominciare da quelli dell’antimafia. Sono volate parole grosse con il Procuratore capo di Palermo, il magistrato che ha arrestato il super-boss. Al centro dello scontro le intercettazioni che il ministro vuole drasticamente limitare, mentre per i giudici sono essenziali contro il crimine organizzato: non basta consentirle per reati di mafia o di terrorismo, occorre usarle anche per tutti i reati “di appoggio”, come la corruzione o la concussione.
Stretta tra due fuochi, la presidente del Consiglio ha ottenuto la solidarietà del suo partito e della Lega (con Salvini molto prudente, forse pensando al processo in Sicilia per la nave Open Arms), mentre si sono schierati apertamente con il titolare della Giustizia Berlusconi e i Centristi (soprattutto i Renziani: il numero due, Rosato, è andato ad Hammamet, sulla tomba di Craxi, ricordando il conflitto del leader socialista con la Magistratura); la premier teme un asse Berlusconi-Renzi per indebolire il Governo. Il leader di Azione, Calenda, la rassicura, ma non può sfuggirgli che i Centristi rischiano di trovarsi alla destra dello schieramento politico. Lo stesso Calenda ha poi un problema di rapporti con Renzi per i suoi impegni esteri di consulenza: lo vorrebbe più presente nelle aule parlamentari, ma l’ex presidente del Consiglio precisa che le sue attività sono tutte in linea con la legge (secondo la tabella pubblicata dal Corriere della Sera nel 2021 ha guadagnato oltre 2 milioni di euro).
Resta il nodo politico: i Centristi lavorano nella prospettiva di una nuova maggioranza, d’intesa con i Forzisti, o la loro azione è limitata al tema della Giustizia? E quali spazi di mediazione restano per la Meloni tra “garantismo” e tutela dell’autonomia dei giudici? Da Tangentopoli in poi la Destra è stata favorevole al partito delle procure, l’elettorato non capirebbe un cambio radicale.
Nel campo dell’opposizione il fatto più rilevante è l’approvazione della Carta dei valori del Pd: l’ultima fatica del segretario Letta, che ha continuato a mediare tra le correnti. La Carta, molto simile al programma elettorale, integra ma non sostituisce i patti fondativi del 2007 tra Ds e Margherita (come chiedevano i Popolari); è inoltre aperta, dopo le Primarie, a nuove integrazioni. Letta, che ha riaccolto nel Pd gli ex scissionisti di Articolo Uno (guidati da Bersani e Speranza) ha tuttavia subito una nuova delusione nella ricerca di unità perché la sinistra, che sostiene la verde-radicale Elly Schlein, ha rilanciato la richiesta di cambiare nome al partito, tra le proteste degli altri tre candidati alla segreteria (Bonaccini, Cuperlo e De Micheli).
Emerge una spaccatura verticale tra la probabile nuova segreteria (Bonaccini continua a guidare tutti i sondaggi), su una linea riformista, socialdemocratica, occidentale, e la tendenza a cambiare tutto, com’è avvenuto nel Partito Socialista francese che ha tagliato le radici storiche (ma i risultati elettorali sono deludenti: ad una cifra, come il Psi di De Martino negli anni Settanta). Su un punto Letta, che continuerà a militare nel Pd guardando alle Europee, ha ragione: le dispute interne al partito riducono lo spazio necessario per l’azione politica dell’opposizione.
Nel M5S, all’opposto, emerge la critica a Conte di trasformare il Movimento in un partito personale; per ora l’ex premier predilige i singoli temi: il reddito di cittadinanza, il bonus edilizio, la guerra russo-ucraina.
Dopo le regionali di Roma e Milano, tutte le opposizioni dovranno ripensare al loro ruolo, perché da sole non vanno molto lontano. A quattro mesi dal voto, mentre il Governo appare senza alternative, i partiti permangono in una situazione di crisi; questo potrebbe ostacolare la ripartenza del Paese: lo conferma lo sciopero dei benzinai (seppur parzialmente revocato) nato dai toni elettorali con cui alcune frange della maggioranza hanno gestito il rincaro della benzina.