Fa un certo effetto ascoltare questo documento sonoro che andò in onda alle 21.00 sul canale radiofonico nazionale della Rai sabato 19 febbraio 1955.
Era la 22a puntata di “Viaggio in Italia” che realizzò andando in lungo e in largo in quell’Italia che stava cambiando in continuazione, la più celebre guida letteraria del Bel Paese durante il boom economico, originata dalla trasmissione radiofonica RAI che Guido Piovene tenne dal 1953 al 1956.
Percorrendo il territorio da nord a sud, raccontando le cose viste si rese conto dei formidabili mutamenti in corso, dalla rapida industrializzazione alla tumultuosa e caotica crescita urbana: «Mentre percorrevo l’Italia, e scrivevo dopo ogni tappa quello che avevo appena visto, la situazione mi cambiava in parte alle spalle… Industrie si chiudevano, altre si aprivano; decadevano prefetti e sindaci; nascevano nuove province. In nessun altro Paese sarebbe permesso assalire come da noi, deturpare città e campagne, secondo gli interessi e i capricci di un giorno». Per Indro Montanelli il suo Viaggio in Italia avrebbe dovuto essere testo d’obbligo nelle scuole italiane, «tali sono la profondità e la nitidezza della sua sonda nelle pieghe e nelle piaghe del nostro Paese». La voce di Piovene ci guida attraverso un Canavese “piccola patria” dove lo stato è sentito un’entità vicina, a “conduzione familiare” così come l’azienda di Ivrea votata certamente al profitto, ma con un idea complessa di benessere diffuso per chi non solo vi lavora, ma vi vive. Il concetto di comunità, Adriano Olivetti lo spiega chiaramente all’intervistatore. L’aziende persegue il suo massimo profitto che però va a ricadere parecchio sugli operai e sulla loro condizione di vita nel territorio di comunità che loro vivono. Piovene è incuriosito dai tempi liberi per gli operai, ai servizi sociali, agli uomini di lettere di chiara fama che dirigono l’azienda, allo studio delle nuove tecnologie alla città con il suo bellissimo contesto ma che è una città che diventa città-fabbrica. Il suo Castello del Conte Verde appare come un’eco lontana di visioni di carducciane memorie. Una soluzione industriale che piace alla sinistra moderata ma non ai comunisti che vedono una sorta di grande inganno paternalistico. Come è incuriosito dal binomio con Biella, che vedeva capitale laniera, di quell’industria piemontese rigorosamente seria, dove si sentiva ancora l’odore austero della vernice del “Vecchio Piemonte”, ma che occupa migliaia di lavoratori, che sul lavoro è una città rinata su cardini nuovi, sintetizzati sui muri di una scuola superiore dell’epoca, quell’ex-regio Istituto Commerciale “Eugenio Bona”, unico in Italia a rilasciare il diploma di ragioniere industriale che fu inaugurato il 4 novembre 1913. In stile neorinascimentale, riassumeva le virtù del commercio biellese: probità, correttezza, serietà energia, previdenza, onestà, operosità, costanza, iniziativa, perspicacia, oculatezza, carattere, lealtà, avvedutezza, sagacia e fermezza. Parole dipinte su quei muri. Come sono fondamentali le parole della voce del conte Oreste Rivetti: “mai occupato di politica e non mi interessa”.
L’industriale si sofferma sull’importanza dell’aumento dell’esportazione come rimedio alla crisi che ci sono sempre state e alla lamentale delle giornate lavorate: ne servirebbero 300 l’anno e invece con tutte le feste si arriva a 285. Senza dimenticare che 28 tra ferie e permessi sono pagate!
Due centri che Guido Piovene metteva insieme in questa analisi del territorio pedemontano, Ivrea e Biella ma che hanno un “terzo polo” a cui dedica una citazione di terza città con le sue piazze interne i suoi colonnati sabaudi con il suo ospizio, ristoranti, alberghi e botteghe che lavorano per i pellegrini, che è il Santuario di Oropa.
Il perimetro del sacro Piovene lo vede nel divieto di entrare non solo nel recinto del santuario ma in tutta la conca fino allo spartiacque del coronamento delle montagne della conca se non “decentemente vestiti”.
Appartenente alla famiglia nobile vicentina dei Piovène, con una tesi su Giambattista Vico conseguì la laurea in filosofia alla Statale di Milano, dove conobbe tra gli altri il filosofo Eugenio Colorni. Giovane fascista, si avviò alla carriera giornalistica, incominciando da «Il Convegno» e dalle prestigiose riviste fiorentine, dirette da Ugo Ojetti, «Pegaso» e «Pan», coprendo il ruolo di inviato fin dalla sua prima assunzione per il quotidiano «L’Ambrosiano», dalla Germania. Passò successivamente al «Corriere della Sera», dove lavorò da corrispondente estero a Londra e Parigi.
Al Corriere conobbe Dino Buzzati, Orio Vergani e Indro Montanelli.
Abiurò pubblicamente le proprie posizioni antisemite vicine a quelle di Telesio Interlandi nel dopoguerra, attraverso il suo memoriale: La coda di paglia. Collaborò più avanti con «Solaria», «Pan», «Tempo», «La Stampa», con la quale proseguì la sua attività di inviato dapprima negli Stati Uniti d’America e successivamente a Mosca.
Nel 1931 aveva pubblicato i suoi racconti ne La vedova allegra, a cui seguì dieci anni dopo, Lettere di una novizia. Il “Viaggio in Italia” venne realizzato quando Piovene si orientò verso il reportage di viaggio: diede alla luce il libro “De America” nel 1953, frutto di 32.000 chilometri attraverso 38 stati assieme alla moglie Mimy, su un’automobile Buick.
Ritornò alla narrativa nel 1963 con Le furie, romanzo-saggio che è la cronaca di un ritorno a Vicenza e del confronto con i personaggi fantasmi del proprio passato.
A dieci anni di distanza dal “Viaggio in Italia” pubblicò anche Madame la France e La gente che perdè Gerusalemme.
Nel 1968 fu alla Mostra del cinema di Venezia come presidente della giuria.
Vinse il premio Strega nel 1970 con il romanzo Le stelle fredde, in cui una trama striminzita fa da sfondo ad un’abilissima analisi della morale.
Nello stesso anno gli venne diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica, che lo porterà alla morte quattro anni più tardi.
Lasciò «La Stampa» per fondare assieme a Indro Montanelli e altri «Il Giornale Nuovo», pubblicato dal 24 giugno 1974 e del quale fu il primo presidente della società editrice. Cinque mesi dopo morì in una clinica neurologica a Londra, città nella quale si trovava per il lavoro di corrispondente estero.
Per chi vuole ascoltare e riflettere sui territori di Ivrea e Canavese e Biella e Biellese attraverso le voci di Guido Piovene, Adriano Olivetti e del conte Oreste Rivetti, lo può fare al sito: https:// www.teche.rai.it/1955/02/viaggioin-italia-ivrea-e-biella/ fabrizio dassa.