(Mario Berardi)
Due fatti politici hanno confermato la crisi irreversibile delle coalizioni: nel centro-destra la convention di Milano di FdI ha certificato la sfida della Meloni all’accoppiata Salvini-Berlusconi, con la proposta del partito dei Conservatori, pronto al governo anche senza gli alleati; nel centro-sinistra il M5S si dissocia dal Pd su tutto: dalla politica estera all’inceneritore di Roma (su questo i ministri grillini hanno disertato Palazzo Chigi); e anche sul corteo del Primo Maggio a Torino, Conte ha criticato i dem. Siamo ormai ai “fratelli-coltelli”.
Ma questa rottura ha prodotto una novità significativa e importante: le “correnti” del Pd hanno indotto il segretario Letta ad abbandonare la linea delle “larghe intese”, ritornando alla scelta del sistema elettorale proporzionale della prima Repubblica, accantonando il “maggioritario” dell’era Berlusconi-Prodi. Nei fatti è l’apertura di un nuovo ciclo politico: sul proporzionale sono d’accordo i centristi, la sinistra di Leu, i Pentastellati; dopo le amministrative di giugno è previsto un confronto con Lega e Forza Italia, per nulla disponibili a cedere la guida del centro-destra alla Meloni. D’altra parte la crisi delle coalizioni è dinnanzi agli occhi di tutti: clamorosa in politica estera la vicinanza Conte-Salvini sul confitto russo-ucraino, con un sostanziale distacco dalle scelte del Governo Draghi.
L’Esecutivo, nel vuoto della politica, caratterizza sempre più le sue decisioni sull’asse istituzionale Draghi-Mattarella, con un sostanziale ridimensionamento delle richieste dei partiti, d’altra parte impossibilitati ad aprire la crisi con la guerra alle porte. Non va inoltre dimenticato che sia Conte sia Salvini sono a loro volta contestati in casa, dai numeri due (e ministri) Di Maio e Giorgetti. Il Ministro degli Esteri difende la scelta occidentale del Governo; il ministro dello Sviluppo economico ha preso le distanze dall’ipotesi di un viaggio a Mosca di Salvini per l’incontro con l’amico Putin. Lo stesso Giorgetti ha chiarito che le relazioni internazionali sono di competenza esclusiva del Governo.
Il premier ha intanto assunto due iniziative importanti contro il carovita e nella politica europea: venendo incontro alle richieste dei sindacati Cgil-Cisl-Uil il governo ha stanziato 14 miliardi di euro a favore delle famiglie e delle imprese; in particolare è stato varato un bonus di 200 euro per 28 milioni di italiani con un reddito inferiore ai 35 mila euro lordi, con un parziale rimborso per il caro-bollette e l’inflazione; la misura è stata possibile anche per l’aumento delle tasse sulle imprese del settore energetico, nonostante il no della Confindustria; ma il ministro Cingolani ha risposto con nuove denunce sulle speculazioni di mercato sul gas e la luce, con prezzi ingiustificati che violano le stesse leggi sulla concorrenza, a scapito dei consumatori. La presenza dello Stato nel settore energetico appare sempre più indispensabile, mentre proseguono gli accordi internazionali per ridurre la dipendenza dell’Italia dal gas russo.
Al Parlamento europeo Draghi ha presentato sull’Ucraina una linea simile a quella di Macron: sostegno e solidarietà concreta a Kiev contro l’ingiustificata aggressione di Mosca, ricerca di un tavolo di trattativa con Putin per fermare la guerra e giungere a intese di pace; questa posizione il premier la confermerà a Biden nel prossimo incontro alla Casa Bianca, per un’Europa protagonista sullo scacchiere mondiale; in precedenza Draghi aveva fermamente condannato le gravi parole del ministro Lavrov sul presidente ucraino Zelensky e sulle (false) ascendenze ebraiche di Hitler.
Nell’intervento a Strasburgo il presidente del Consiglio ha anche attaccato i cosiddetti Paesi “frugali” del Nord-Europa, tutori dei bilanci in pareggio, che si oppongono al prezzo unico europeo sul gas, favorendo la speculazione; contestualmente ha dato una grande delusione ai “sovranisti” italiani perché ha rivendicato il ruolo di un’Europa più forte, federale, in grado di reggere sia alla competizione economica mondiale sia alle sfide nuove aperte dalla sciagurata guerra avviata dalla Russia, con un capovolgimento degli equilibri geo-politici del Vecchio Continente. Il futuro di Roma sempre più legato alle scelte di Bruxelles.