L’astigiano Giuseppe Gamba succede sulla cattedra di San Massimo al cardinale Agostino Richelmy, morto il 10 agosto 1923. Papa Pio XI lo conosce e lo stima e il 4 maggio 1924 lo nomina Arcivescovo di Torino. Ha 67 anni, ma ricomincia da capo un’altra volta. Dal pulpito del Duomo dice: “Vengo tra voi non per riposare, ma per faticare. Io mi abbraccio alla Croce di Gesù: ecco tutto il mio programma”.

Tra le molteplici opere intraprese, dal restauro del Duomo alla celebrazione del 1° Sinodo dei Vescovi piemontesi, dalla cura del Seminario e alle parrocchie, l’Arcivescovo, insignito della porpora da Pio XI, mette davanti a tutto l’educazione cristiana della gioventù, così da meritarsi il titolo di “Cardinale dei giovani”. Si reca volentieri in mezzo a loro, e tra di essi ha per amico Pier Giorgio Frassati (1901-1925), ma sono suoi amici anche don Allamano, don Luigi Boccardo, don Rinaldi salesiano, don Paleari… Nel tardo autunno del ’29 sale a Oropa a pregare ‘la sua Madonna’ e passa a inginocchiarsi sulla tomba di Frassati nel cimitero di Pollone. Celebra con solennità il Natale in Duomo, ma all’alba del 26 dicembre muore.

A lui succede il novarese Maurilio Fossati (1930-1965).
Il suo arrivo a Torino coincide con un momento di conflitto tra la Chiesa e il regime fascista, per l’attacco mosso da questo all’autonomia dell’Azione cattolica. Nella linea che era propria della Chiesa italiana assunse le difese delle associazioni, protestando contro i soprusi, ma anche poi rallegrandosi per la ritrovata pace e per l’accettazione da ambo le parti del nuovo modus vivendi. Con gli anni Cinquanta iniziò il suo declino, ma fu invitato a rimanere al suo posto, nonostante già nel 1941, e poi nel 1950, avesse presentato le dimissioni al Papa. Partecipò ai lavori del Concilio Vaticano II in uno stato di salute molto precario.

Negli ultimi anni venne affiancato da un coadiutore, Felicissimo Stefano Tinivella. Mons. Fossati morì a Torino il 30 marzo 1965.

Sulla Cattedra di San Massimo sale il cuneese Michele Pellegrino (1965-1977). Da Papa Paolo VI è creato Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, insieme al fossanese Mons. Giuseppe Beltrami e al polacco Mons. Karol Wojtyla.

La sua azione pastorale è incentrata sull’impegno di attuazione del Concilio e si distingue per una speciale attenzione ai problemi concreti dei fedeli, in particolare a quelli dei poveri e del mondo del lavoro. Il suo magistero è ricordato soprattutto per la Lettera Pastorale “Camminare insieme” dell’8 dicembre 1971. Dà vita con convinzione agli organismi consultivi diocesani, mentre viene restaurato il diaconato permanente. Cura la prima ostensione televisiva della S. Sindone (23 novembre 1973) e promuove gli studi sulla preziosa reliquia. Rinuncia al governo dell’Arcidiocesi nel 1977.

Nella Chiesa del Cottolengo di Torino, il 24 settembre 1977, Mons. Pellegrino consegna il Pastorale al suo successore, Mons. Anastasio Alberto Ballestrero (1977-1989), carmelitano, già Arcivescovo di Bari, che deve gestire il difficile passaggio di testimone con il carismatico suo predecessore: anni difficili, di terrorismo e contestazioni, cui risponde con uno stile di semplicità, riservatezza e, soprattutto, di incondizionata donazione, perché “essere pastore significa… farsi donatore instancabile di perdono, di verità, di amore”, diceva. Assume la presidenza della Cei dal 1979 al 1985, negli anni che vedono l’attentato al Papa San Giovanni Paolo II, il referendum sull’aborto, la defezione di preti e religiosi, il calo delle vocazioni.

“La diocesi è un impegno che mangia vivo il vescovo in quanto gli ruba ogni respiro, non ha pace né giorno né notte”, è solito dire e lo sperimenta quando permette le analisi della Sindone col Carbonio 14. Resta profondamente amareggiato dalle polemiche quando la datazione del telo viene fatta risalire al Medioevo, e dalle contestazioni di parte del mondo cattolico.

A 75 anni presentate le dimissioni, “il mistico con i piedi ben piantati per terra” si ritira nel Monastero di Santa Croce, a Bocca di Magra in Liguria, dedicandosi alla preghiera, allo studio e alla direzione spirituale: “il vescovo che fu monaco per tutta la vita”, muore il 21 giugno 1998. L’inchiesta diocesana della causa di beatificazione si è svolta a Torino dal 2014 al 2023; ora è servo di Dio.

Nei dieci anni dal 1989 al 1999 a governare l’Arcidiocesi di Torino c’è Giovanni Saldarini. È il centesimo pastore della Chiesa torinese. Fa ingresso il 19 marzo, Domenica delle Palme e IV Giornata Mondiale della Gioventù, nel Santuario della Consolata.

Alla base della personalità umana e sacerdotale, culturale e pastorale, al centro della sua esperienza parrocchiale ed episcopale c’è la Parola di Dio. Anche i suoi numerosi libri sono prevalentemente di carattere biblico-esegetico e pastorale. Il 20 maggio 1990 chiede al Papa di beatificare il giovane Pier Giorgio Frassati in una memorabile celebrazione in Piazza San Pietro davanti a 50mila persone.

È stato anche l’Arcivescovo della beatificazione di don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco (29 aprile) e del canonico Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e Missionarie della Consolata, che il 20 ottobre prossimo sarà canonizzato.

Il 18 agosto 1990 Mons. Saldarini venne nominato dal Papa Custode Pontificio per la conservazione e per il culto della Sacra Sindone. Il 19 giugno 1999 ha rinunciato per motivi di salute e al suo posto arriva il casalese Severino Poletto che la guiderà fino al 2010, partecipando tra l’altro a due conclavi, compreso quello che ha eletto Papa Francesco. “Vengo tra voi con nessun’altra intenzione che fare della mia vita un’immolazione, un’offerta gradita a Dio.

Desidero professare davanti al Signore e a voi che così io intendo vivere il mio servizio episcopale: come un’offerta totale della mia vita, fino all’ultimo respiro, per annunciare Gesù Cristo e per cercare esclusivamente di esservi guida ed esempio per aiutarvi a camminare nella sequela di Cristo, unica condizione per raggiungere la salvezza”. Parole con cui si è “presentato” il 5 settembre 1999, nell’omelia della Messa d’ingresso.

Nei primi mesi ha incontrato tutti i preti della diocesi (circa 700); ha avviato la preparazione del Piano pastorale decennale e della riforma della Curia metropolitana; ha animato significativi momenti “pubblici” della Chiesa torinese, come i lavori di preparazione dell’ostensione giubilare della Sindone, e il Convegno “La Chiesa incontra la città” che ha segnato un punto alto di confronto fra l’Archidiocesi e le massime rappresentanze delle istituzioni civili. Si ritira nel 2010 e nel dicembre 2022 muore nella casa di Testona di Moncalieri.