(Mario Berardi)
Il Governo Draghi ha due ostacoli rilevanti da affrontare prima della pausa estiva: il nuovo disegno di legge sulla giustizia, che vede contrapposti il M5S di Conte e il centro-destra, le proteste di piazza di No vax e No Pass sulle nuove misure per contrastare il Covid-19 e favorire da settembre una piena riapertura delle scuole, dopo quasi due anni di didattica a distanza.
Tra le città più protestatarie si è segnalata Torino, con due cortei molto affollati e, particolare inedito, una forte incursione delle formazioni di estrema destra “Forza nuova” e “Casapound”; questa presenza, abituale a Roma, segnala nella Capitale subalpina una questione seria, perché soffia per la prima volta un vento di destra, in contrasto con le radici resistenziali e antifasciste dell’intero Piemonte.
Contemporaneamente stenta a decollare la campagna elettorale per il voto di ottobre: il centro-sinistra deve riprendersi dal flop delle primarie, con soli 11 mila elettori (su quasi 900mila abitanti) ai gazebo che hanno indicato candidato-sindaco il capogruppo dem in Comune, Stefano Lo Russo; ancora peggio la recentissima prova dei Pentastellati, che governano da cinque anni la metropoli con la Sindaca Appendino: al voto on-line per eleggere Valentina Sganga (capogruppo in Comune) hanno partecipato 625 persone! Francamente poche per una designazione a Sindaco. A sua volta il centro-destra ha rinunciato alle consultazioni di base, indicando l’imprenditore Paolo Damilano con una scelta dei vertici nazionali, in una pausa dei litigi tra Salvini e la Meloni.
Le proteste di piazza e il dibattito politico, come due facce opposte di una città alla ricerca di un difficile equilibrio; perché il disagio sociale, accresciuto dalla pandemia, continua ad espandersi, come dimostrano tutti gli indicatori sociali, dalla cassa-integrazione al reddito di cittadinanza, portati al premier Draghi da una delegazione formata dal presidente della Regione, Cirio, dalla Sindaca Appendino, dalla Vice-presidente del Senato, Rossomando.
La crisi principale è quella del lavoro e la sua origine deriva dalla fortissima flessione dell’occupazione nell’impero Fiat; proprio in queste settimane si sono registrate altre due sconfitte: la rinuncia a Mirafiori come polo Stellantis delle batterie, l’ulteriore riduzione di personale nel gruppo italo-francese, con 800 pensionamenti anticipati di impiegati e operai, non compensati da un centinaio di assunzioni.
Di questo passo la presenza di forza lavoratrice nell’area metropolitana rischia la marginalità, in assenza di forti alternative, con un ulteriore sviluppo del disagio sociale e con la crescita delle differenze tra le due Torino, quella borghese delle aree centrali, quella popolare delle periferie. Paradossalmente in questi stessi giorni (fonte “Corriere della Sera”) si è appreso di una nuova tappa giudiziaria al Tribunale civile di Torino per la querelle sull’eredità dell’Avvocato Agnelli, che vede la figlia Margherita contrapposta all’erede designato, il presidente di Exor e Stellantis John Elkann.
Sul piano generale il premier Draghi ha affidato il dossier Torino al ministro Giorgetti, sul cui tavolo giacciono già centinaia di vertenze, tra cui la sfortunata Embraco. Per passare dalle parole ai fatti è tuttavia necessario che le forze politiche chiariscano a fondo gli obiettivi da perseguire e gli “attori” da coinvolgere nella vertenza Torino. Anzitutto cosa chiedere a Stellantis e all’azionista Exor: una presenza nel cda del governo italiano, come già avviene con l’Esecutivo Macron? Una trattativa costante sulle scelte produttive e sui livelli d’occupazione, senza spazi per ulteriori tagli, ma anzi per un recupero? E in alternativa quali poli produttivi per contrastare la crisi del lavoro?
La Capitale subalpina, nei dialoghi con Draghi, è stata presentata come una città del Sud sottosviluppato; anche per questo, per il rispetto delle istituzioni democratiche, è auspicabile un nuovo dibattito politico, non incentrato sui personalismi, ma sulle proposte concrete.
Forse sarà opportuno uscire dal “politichese” e affrontare una campagna elettorale aperta, anche a rischio di mettere in discussione l’operatività del “sistema Torino”; la terra subalpina, l’intero Piemonte meritano un salto di qualità delle forze politiche, sociali, culturali, nel generale interesse del “bene comune”.