“Nonabbiamopiùparole”.

La manifestazione sindacale organizzata oggi, 4 settembre, a Vercelli, dalla locale Camera del Lavoro, ma condivisa dai Sindacati confederali a livello regionale (peraltro, presenti molte sigle di categoria anche lombarde) con la presenza del Segretario Generale della Cgil Maurizio Landini, non ha voluto significare che ormai, tanto vale stare zitti.

Zitti di fronte ai cinque morti di Brandizzo (presenti oggi anche alcuni tra i parente delle vittime); zitti di fronte alla strage di persone, mentre sono intente al lavoro (Landini richiamerà, come si può sentire nel nostro audiovideo, i numeri impressionanti in questi giorni spesso riecheggiati: una strage); zitti rispetto ad una ulteriore estensione di “piani” se l’analisi vuole andare oltre il pur drammatico impatto della realtà che si presenta e ripresenta, quasi a dire che sì, è vero, la realtà è ciò che accade, mentre noi siamo intenti a pensare come cambiarla.

Perché possiamo dire di una “estensione” di piani?

Perché, se è vero che questa tragedia si è consumata, questo lutto colpisce famiglie e comunità, questo dolore immenso origina da luoghi di lavoro, è pur vero che il dramma di questi giorni (ri)mette in luce la necessità che non sia ulteriormente differita una radicale ristrutturazione del sistema degli appalti, una decisiva ed incisiva operosa attenzione al problema “sicurezza”, che è sicurezza di tutti: a cominciare dalla necessità che interi apparati infrastrutturali, rappresentativi di un ingente patrimonio del Paese, ma un patrimonio vecchio ormai di mezzo secolo e oltre, siano oggetto di idonee pratiche manutentive.

Ma anche su questo Landini è chiaro.

L’idea guida “nonabbiamopiùparole” è solo apparentemente rinunciataria, così come quel “grido taciuto” della celeberrima poesia di Cesare Pavese.

Ma è un’idea guida che rilancia, invece, la necessità di passare dalle parole ai fatti nelle politiche della sicurezza, del lavoro, della legislazione (per entrare subito in media res) sugli appalti, pubblici e non, rimanda inevitabilmente alla necessità che risuonino, nel mondo della produzione e non solo, parole di verità.

Un bisogno di verità, di andare al cuore delle cose, di badare all’essenziale, di insistere sulla nozione di “centralità” della persona che, se comune a tutto il Magistero sociale della Chiesa, ha un momento cardine in quel 14 settembre 1981 quando il Santo Pontefice Giovanni Paolo II stupì il mondo con la Laborem Exercens, un nuovo capitolo della Dottrina sociale della Chiesa, dato nel novantesimo anniversario della Rerum Novarum

– ecco cliccando qui il testo integrale -.

Stupì il mondo perché mise a nudo verità (non si dimentichi che il Terzo millennio era tutt’altro che “ineunte”) di una tale portata innovativa, sia dal punto di vista filosofico, sia da quello della teologia morale e, infine, per alcune profetiche iridescenze, anche della sociologia e della scienza economica, sulle quali si sarebbe poi formata un’intera generazione, soprattutto di giovani, rimasti come folgorati dalla luminosità di queste gemme preziose di magistero.

Ne riportiamo (l’integrale del testo è linkato poco sopra) soltanto alcuni tratti, veramente capaci di affascinare e motivare l’impegno consapevole nel sociale di ogni cristiano.

“Il primo fondamento del lavoro – insegna Giovanni Paolo II – è infatti l’uomo stesso, e benché l’uomo sia chiamato e destinato al lavoro, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro”.

Ed il lavoro:

“è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo”.

E, se è vero, come è vero, che occorre – sono parole che Landini pronuncia al nostro microfono, nella dichiarazione dedicata ai nostri Lettori ed video ripropone – superare il sistema dei subappalti “a cascata”, anche in quanto (forse giuridicamente, non certo moralmente) de-responsabilizzanti per “datori di lavoro indiretti”, ecco quanto (ci si permette di richiamare ancora: nel 1981!) il Papa insegnava:

17. Il concetto di datore di lavoro indiretto si riferisce così a molti e vari elementi. La responsabilità del datore di lavoro indiretto è diversa da quella del datore di lavoro diretto – come indica la stessa parola: la responsabilità è meno diretta -, ma essa rimane una vera responsabilità: il datore di lavoro indiretto determina sostanzialmente l’uno o l’altro aspetto del rapporto di lavoro, e condiziona in tal modo il comportamento del datore di lavoro diretto, quando quest’ultimo determina concretamente il contratto ed i rapporti di lavoro”.

Sono proprio le responsabilità sociali e politiche a dover fare i conti con l’esigenza di un impegno etico all’altezza del compito, se è vero che:

“L’analisi del lavoro umano, fatta nell’orizzonte dell’opera divina della salvezza, penetra al centro stesso della problematica etico-sociale, e sfocia in un’etica del lavoro che a buon diritto si può qualificare nuova. (…). Problemi come il lavoro iniquo, disumano, non tutelato, o disprezzato esigono da parte dei cristiani una rinnovata assunzione di responsabilità. L’etica del lavoro riguarda, soprattutto, la dimensione soggettiva di esso, cioè l’uomo come persona, come soggetto del lavoro.  Il primo fondamento del lavoro è infatti l’uomo stesso, e benché l’uomo sia chiamato e destinato al lavoro, il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro”.

E, affinchè non fosse dimenticata la esigente lezione della Storia:

“8. fu giustificata, dal punto di vista della morale sociale, la reazione contro il sistema di ingiustizia e di danno, che gridava vendetta al cospetto del Cielo13, e che pesava sull’uomo del lavoro in quel periodo di rapida industrializzazione. Questo stato di cose era favorito dal sistema socio-politico liberale che, secondo le sue premesse di economismo, rafforzava e assicurava l’iniziativa economica dei soli possessori del capitale, ma non si preoccupava abbastanza dei diritti dell’uomo del lavoro, affermando che il lavoro umano è soltanto uno strumento di produzione e che il capitale e il fondamento, il coefficiente e lo scopo della produzione”.

 

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Così, quindi, il principio della priorità del lavoro nei confronti del capitale è un postulato appartenente all’ordine della morale sociale.

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La giornata di oggi, certo dominata dal dolore, da un silenzio dolente quanto a suo modo eloquente, ha consegnato al futuro l’esperienza di una grande unità, di una straordinaria compattezza di tutta la società, la vicinanza partecipe e fraterna della Chiesa: significativa anche per questo la presenza dell’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Marco Arnolfo .

E’ stato giustamente osservato che una simile partecipazione ad una manifestazione sindacale non si fosse vista, a Vercelli, ormai da molti anni: certo, un risultato rilevante, soprattutto per la Camera del Lavoro di Vercelli che ne ha curato l’organizzazione, per i Sindacati confederali, nella loro dimensione regionale.

Davvero ingente – come anche le immagini della gallery dimostrano – la presenza canavesana, di tutte le sigle sindacali.

Ma una così ampia partecipazione è anche il segno che la manifestazione ha davvero motivato l’adesione anche di tanta gente che ha voluto, anche così, dare un chiaro segnale di cambiamento.