Riceviamo e pubblichiamo.
Su “Il Risveglio Popolare” del 21 luglio corso è comparso l’articolo intitolato “La tramvia a vapore Ivrea-Santhià” di Doriano Felletti, che ha riportato alla mia mente vicende ormai dimenticate. Mi furono narrate a suo tempo da vari anziani di Ivrea, tra i quali Domenico Gambone, mio vecchio amico, e il dottor Giuseppe Enrico, che ne pubblicò diverse sulla rivista “Il Piffero” dell’edizione speciale del 1971, in occasione della fiera di San Savino. La Tramvia Ivrea-Santhià era, in realtà, una piccola ferrovia ma fu sempre chiamata con il primo nome perché non poteva superare la velocità di 20 o 30 km l’ora, come i veri tram, al fine di evitare possibili incidenti stradali.
I binari non erano posti su massicciate, come avveniva per le normali ferrovie, ma sulle strade, motivo per il quale il passaggio della sbuffante vaporiera rischiava di spaventare i cavalli che erano il mezzo di trasporto più diffuso in quel tempo.
Nel santuario del Monte Stella si conserva un ex voto fatto in seguito a uno scontro avvenuto tra la vaporiera e un carro trainato da un cavallo.
La vaporiera proveniva dalla Prussia ed era detta “caffettiera” dai nostri anziani che ricordavano tra l’altro le numerose burle fatte da certi buontemponi ai danni dei macchinisti.
Domenico Gambone mi narrava, ad esempio, che lui stesso e altri ragazzi spalmavano grasso e sapone sui binari della curva di porta Vercelli per far slittare le ruote della vaporiera.
Le cose andarono peggio al macchinista Lorenzo Gillio che alle 5 di un mattino d’inverno si vide di fronte un tale travestito da fantasma che gesticolava sui binari.
Preso dallo spavento, il buon Gillio bloccò la vaporiera e fuggì nei campi.
Si seppe, in seguito, che il fantasma era il suo amico Ferdinando Ganio, il quale volle vendicarsi in quel modo a causa di uno scherzo subito a sua volta.
Un altro episodio spassoso avvenne nel 1917, quando gli studenti dovevano dare gli esami a Vercelli per ottenere i diplomi di ragioniere e geometra.
In quell’anno parecchi di loro non avevano il denaro sufficiente per pagare il viaggio di ritorno a Ivrea, motivo per il quale il capotreno non voleva lasciarli salire sul convoglio a Santhià, finché si giunse a un compromesso.
Essi versarono il denaro che avevano e in più si impegnarono a spingere il convoglio sulla salita di Roppolo se alla “caffettiera” fosse mancato il vapore sufficiente per superarla, poiché il carbone era scarso a causa della guerra in corso.
Ma la “caffettiera” riuscì a farcela senza l’aiuto umano.
A Ivrea e nei dintorni si rideva anche a proposito di certi macchinisti che sostavano troppo nelle “piole”, cercando poi di far credere alle loro mogli che non poterono rincasare prima a causa del deragliamento di un vagone, che li costrinse a cercare qualche contadino disposto a prestare buoi e cavalli per riportarlo sui binari. La Tramvia Ivrea-Santhià aveva la sua stazione principale e il deposito a Ivrea, nell’area compresa tra la via Circonvallazione e gli inizi del viale Monte Stella.
Nei primi anni Cinquanta qui vi erano ancora alcuni vagoni sotto una tettoia situata presso l’edificio della stazione che in tempi recenti fu utilizzato da un istituto bancario.
Un vagone, posto nei primi anni trenta presso la vicina palude, serviva da abitazione a una povera vecchia che si prendeva cura di numerosi gatti.
Oggi in quel luogo vi è il gattile.
La fotografia 3, pubblicata con l’articolo di Doriano Felletti, risale al 1933 secondo quanto scrisse il dottor Giuseppe Enrico prima citato e si vede in primo piano Giovanni Torfano che era bigliettaio della Tramvia.
In quell’anno la nostra Tramvia ebbe fine per fare posto agli autobus che ancora ai miei tempi erano detti “corriere”.
Scomparvero così anche ricordi e testimonianze di un vecchio mondo che era ancora fatto a misura d’uomo malgrado tante avversità.
Roberto Damilano