Oggi si incrociano davanti ai nostri occhi almeno tre strade: il carnevale appena terminato, la quaresima appena iniziata e la festa delle donne.
Andiamo per ordine.
Il carnevale, storico, di Ivrea porta a casa il successo di tanta gente che è venuta a vederlo, la gioia e qualche ammaccatura di coloro che vi hanno preso parte attivamente, i mugugni di chi ha visto ridotti i propri spazi di movimento nel centro storico e di chi ha fatto la coda in autostrada domenica per il grande afflusso. Alla benedizione e distribuzione del merluzzo, ieri in Piazza Lamarmora a Ivrea, la Console della Croazia esprimeva forte il suo entusiasmo affermando che ormai questo carnevale deve passare ad uno step superiore, internazionalizzarsi, scandalizzata che Ivrea non sia mai abbinata a Venezia, Viareggio eccetera…
Le nostre città si dice che siano a “misura d’uomo”, il che qualcosa significa. Significa che oltre un certo punto è difficile andare per tutta una serie di limitazioni e di capacità; e anche sviluppando settori tuttora bloccati a un livello embrionale, esiste forte il rischio che se invece di 20mila ingressi ce ne fossero stati 40mila la città sarebbe molto probabilmente andata in tilt. Eventuali scelte non possono prescindere da riflessioni in cui i sogni devono fare i conti con una buona dose di realismo.
Con la fine del carnevale inizia la quaresima. Almeno ad Ivrea. Sono tanti, forse troppi, coloro che non tengono conto di questo calendario “naturale” e i carnevali imperversano fin quasi a Pasqua. Ne racconteremo anche durante le prossime settimane quaresimali, perché la cronaca dei fatti funziona così, ma senza troppo entusiasmo perché abbiamo coscienza – comunque non bigotta – che ogni cosa ha il suo tempo.
Sviluppiamo questo cammino di quaranta giorni offrendo ai nostri lettori una versione decisamente nuova del commento al Vangelo della domenica (pag. 27). Un commento che è preghiera; occasione – per chi prega sempre – per ritrovare energie di evangelizzazione e per chi non prega più, che non è poi così difficile tornare a farlo, da adulti con uno spirito da bambini.
L’8 marzo, festa della donna. Pensiamo che la maggior parte delle tantissime “giornate per” che si celebrano praticamente ogni giorno dell’anno abbiano una valenza soprattutto pubblicitaria, nel senso più positivo del termine, e sovente abbinata a uno spirito commerciale, in un senso magari leggermente meno positivo, ma comunque accettabile quando non deborda.
Che esista ancora la “festa della donna” è segno che non ci siamo ancora smarcati dal bisogno di reiterare ogni anno che la condizione della donna, in tutti gli ambiti, non è arrivata al livello in cui dovrebbe essere, e che per questo, è necessario continuare a fare un’operazione di educazione e di sensibilizzazione che – almeno per un giorno – l’abbia totalmente al centro dell’attenzione.
Il persistere di questa festa celebra sì la donna, ma ricorda quanto – tanto – resta ancora da fare, nel nostro Paese e in giro per il mondo, perché le sia riconosciuta e garantita la dovuta dignità. Solo in quel momento sarà veramente festa e lo sarà per tutti i giorni dell’anno, senza più bisogno dell’8 marzo.