IVREA – “Più che un lavoro, fare l’avvocato rotale è una vocazione e un servizio”: così si esprime Stefano Ridella da Ivrea, che da quasi vent’anni è promotore di giustizia e sostituto del difensore del vincolo presso il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Piemontese che ha sede a Torino.
Parliamo di strutture pienamente inserite nella Chiesa: quella che un tempo era la Sacra Rota, oggi si chiama Rota Romana; il Tribunale una volta era Regionale, oggi si chiama Interdiocesano perché la diocesi di Alessandria, nell’ambito della riforma, ha deciso di creare il “suo” Tribunale Diocesano per la cause di nullità matrimoniale.
Laureato in Giurisprudenza, Ridella ha frequentato la Facoltà di Scienze Religiose, poi ha preso la Licenza e il Dottorato in Diritto Canonico alla Pontificia Università Salesiana di Roma. “Le strade normali della giurisprudenza non erano per me – dice Ridella – e trovo nel Diritto Canonico il mix ideale tra teologia e scienze giuridiche. Per me fare l’avvocato in questo Tribunale è il modo migliore per servire in ambito ecclesiale”. Un lavoro difficile, certosino, sovente non capito o mal interpretato, ma “sempre indirizzato alla ricerca della verità che richiede il massimo dello sforzo e dell’impegno per non trasformare una nullità in un divorzio”.
“Non è pensabile – afferma Ridella – che non ci sia nella Chiesa un servizio di questo genere. E non è il numero esiguo di matrimoni che ormai si celebrano in chiesa a decretarne l’importanza”. Ci pare di capire che è necessario vincere la disinformazione e l’informazione distorta per facilitare l’avvicinamento al Tribunale da parte di chi sembra sentirne il bisogno, piuttosto che constatarne l’allontanamento dalla fede e dalla partecipazione alla vita ecclesiale per timori infondati. “Molte persone hanno paura del giudizio – racconta l’avvocato rotale -, ma il Tribunale non dà giudizi morali sulla persona, quanto piuttosto un giudizio giuridico su un fatto storico. Il nostro lavoro risponde ad una domanda: quel matrimonio è stato celebrato validamente, oppure no?”.
Da qui anche tutta l’attenzione alla terminologia. Il sacramento non si “annulla” perché vorrebbe dire che prima c’era (e se c’era nessuno può cancellarlo, perché con i sacramenti non si fa marcia indietro). Il sacramento si sentenzia “nullo” – vale a dire che non c’è mai stato – quando celebrato senza le condizioni necessarie. La preoccupazione del Tribunale è quella di non tradire mai il mandato del Signore. “Non sono cause contenziose – spiega Ridella – e si cerca sempre la collaborazione tra le parti proprio per la delicatezza degli argomenti trattati”.
Ci sono delle tappe in questo iter. Il primo passaggio è quello dell’ascolto dei due coniugi, l’istruzione del dossier, le udienze, l’intervento solo laddove necessario di figure professionali come psicologi o psichiatri, il pronunciamento dell’avvocato che sostiene la nullità e di quello che difende il vincolo del matrimonio e quindi i tre giudici che sentenziano. Prima della riforma del 2015 l’appello era automatico; il giudizio veniva mandato al Tribunale Ecclesiastico Lombardo per l’ultimo passaggio. Ora l’appello (che avviene sempre all’esterno, all’Ecclesiastico Lombardo) può essere chiesto qualora la persona interessata non fosse d’accordo con la sentenza emessa in primo grado.
In ogni caso, non si va al Tribunale Ecclesiastico per cercare delle scappatoie o facili soluzioni; d’altro canto, è un mito da sfatare è che il ricorso al Tribunale Ecclesiastico sia cosa per ricchi e privilegiati. Sul sito del Tribunale sono pubblicati i costi (accessibilissimi) e chi ha problemi economici trova delle possibilità di aiuto o integrazione. “Non sono comunque i costi che debbono allontanare chi sente il bisogno di questo servizio”, afferma ancora Ridella, ribadendo che l’attenzione alla persona, il rispetto della Parola del Signore, una coscienza formata e la preparazione giuridica che non smette mai di aggiornarsi e approfondire, sono le caratteristiche di chi vive questo lavoro come un servizio scaturito da una vocazione.
Carlo Maria Zorzi