(Fabrizio Dassano)
La fine dell’Impero romano aveva comportato la fine delle istituzioni scolastiche pubbliche, e quindi delle scuole a carattere municipale. Furono le istituzioni ecclesiastiche a riempire il vuoto con tre tipi di scuole: le scuole parrocchiali, che fornivano un’alfabetizzazione di base, le scuole vescovili o cattedrali, aperte anche ai laici fornivano sia un’istruzione di base che medio-superiore e le scuole monastiche, aperte soprattutto anche ai laici fornivano sia un’istruzione di base che medio-superiore ed universitaria. Le scuole parrocchiali, attestate almeno dal VI secolo, davano un’istruzione limitata, ma erano le uniche accessibili, per quanto la maggioranza delle famiglie non potesse permettersi di rinunciare al lavoro dei figli anche in giovanissima età. La condizione normale per la gran parte della popolazione in tutta Europa era, quindi, l’analfabetismo. Le scuole vescovili o cattedrali erano destinate alla formazione del clero in un’epoca in cui non esistevano ancora i seminari ed erano aperte anche ai laici.
Nel 1898 il dottor Domenico Manzone, insegnante di storia e geografia presso il regio liceo ginnasio “Carlo Botta” sotto la presidenza del professor Felice Ravarino diede alle stampe uno studio dal titolo “Il regio – liceo ginnasio Botta di Ivrea e il suo archivio (1774 – 1898) Ricerche e studi”. Il piccolo testo venne riscoperto e studiato dall’appena scomparso e compianto professor Carlo Fiore nel 1990. Questi testi di ricerca ci permettono di tracciare qui per sommi capi la storia della scuola in Ivrea. Sotto l’impero di Lotario I, dal 840 al 855 la scuola pubblica risultava istituita in Ivrea anche ad uso dei residenti del circondario, insieme a quelle istituite in altre otto città italiane. Ancora nel 1308 uno Statuto eporediese concesso dal Consiglio di credenza del Comune riconosceva ad un certo Facio l’esclusiva dell’insegnamento della grammatica tanto ai cittadini quanto ai forestieri. Ma fu una pandemia di peste che investì Torino a rafforzare paradossalmente l’insegnamento in Ivrea: nel 1451 i professori dell’Università taurinense fuggirono dalla città per distribuirsi in vari centri del Pie-monte ma un gran numero decise di riunirsi a Ivrea e continuare le lezioni, come appare da un ordinato della Città di Torino del novembre 1452.
Dopo la stabilimento degli Studi Generali (oggi Università degli Studi) secondo le volontà di Ludovico d’Acaia che go-vernò dal 1402 al 1418, le scuole superiori rimasero fuori dall’ordinamento statale anche se fornivano studenti per le Università o davano comunque una formazione di istruzione superiore lontano dalla capitale. Bisognerà attendere il regio biglietto del 9 luglio 1731 con il quale re Carlo Emanuele III annuncia al Generale delle Finanze di aver posto a carico del regio Erario le spese per il tenimento delle pubbliche scuole, sgravandone parzialmente città e comuni, anche se a Ivrea, a carico della città, le scuole pubbliche erano state istituite già precedentemente.
Lo stato sabaudo fornì per il funzionamento la somma di lire 66.163 per gli stati di Terraferma, di cui 2850 per Ivrea. Gli stipendi dei professori di Teologia, Filosofia e Rettorica erano fissate in lire 500, quelli di Umanità in lire 400. Per il professore di Gramma-tica ordinario 350 lire e 200 lire per quello straordinario. Per i Direttori di Spirito 300 lire e per il Portinaio 100 lire. A carico della città restava l’eventuale spesa dell’affitto dello stabile idoneo, la spesa per la realizzazione dei banchi ed altre “avarie accidentali” cioè la manutenzione della scuola e della Congregazione, per il corrispettivo delle tasse scolastiche incamerate. Con l’istituzione del Real Collegio di Ivrea nel 1774 le scuole superiori di tutti i capoluoghi sono emanazioni dell’Università di Torino anche come regolamento e insegnamenti. A capo della Pubblica Istruzione vi era il Magistrato delle Riforme che faceva rispettare gli ordinamenti e nominava i professori (solo maschi) tra i meritevoli sia tra laici che tra il clero secolare e regolare. Inoltre gli ordini religiosi e i seminari dei chierici “tanto in Torino che nelle Provincie potranno insegnare ai religiosi allievi loro”.
A Ivrea, capoluogo di provincia, le regie scuole stabilivano l’insegnamento della Teologia in un corso di studi di 5 anni, 2 per la Filosofia e 3 anni per la Latinità superiore che comprendeva: Rettorica, Umanità e Grammatica. Poi vi erano insegnamenti per le istituzioni civili per la formazione dei notai e causidici, per le professioni di flebotomo e chirurgo. Seguivano le scuole comunali con i Maestri, dette di Latinità inferiore, con un ciclo di 3 anni, e poi a livello più basso, un biennio di Lingua italiana, lettura e scrittura (prima e seconda) per i più piccoli.
Con l’arrivo della rivoluzione francese, il governo provvisorio del Piemonte del 1798 instaurato dal generale Barthélemy Catherine Joubert, riaprì l’Università chiusa dai Savoia per la guerra contro la Francia, assegnò al Collegio delle Provincie (per gli alunni meritevoli del regno) il confiscato Collegio dei Nobili a Torino e tolse alla Cancelleria ecclesiastica ogni ingerenza negli studi, eliminò il Magistrato della Riforma, le cattedre di Teologia e Diritto canonico, la scuola di anatomia chirurgica, sostituita da quella di anatomia medica. Fu conservato l’insegnamento delle lingue orientali con l’aggiunta di conferenze sulla libertà dei culti religiosi. S’istituirono le nuove cattedre di ostetricia e di chimica e l’uso della lingua italiana fu obbligatorio.
Con l’annessione del Piemonte alla Francia napoleonica a Ivrea il Real Collegio divenne Collegio Nazionale o Scuola Nazionale e l’insegnamento della Teologia venne spostato all’interno del Seminario. Con la Restaurazione e il ritorno del re Vittorio Emanuele I nel 1814 si ebbe di nuovo la denominazione di Real Collegio di Ivrea e il ritorno del vecchio ordinamento, grosso modo fino all’Unità d’Italia.
La rivoluzione industriale portò alla creazione delle scuole tecniche che nel regno di Sardegna ebbe inizio con la legge Casati del 1859 (poi estesa al territorio italiano nel 1861). I regi istituti tecnici sorsero principalmente in alcune città capoluoghi di provincia soprattutto nelle zone del nord più industrializzate. Si trattava di scuole, soprattutto per le sezioni fisico-matematica ed industriale meccanico-metallurgica, che preparavano i giovani agli studi universitari scientifici.
Furono principalmente attivi in quelle città in forte sviluppo industriale, che necessitavano di quadri dirigenziali preparati e competenti e per i quali la preparazione classica diffusa in Italia per le classi dirigenti non era idonea. Le sezioni agrimensura e commerciale-ragioneria non consentivano invece l’accesso all’università e formavano gli allievi nelle professioni di perito industriale, perito agrario, geometra e ragioniere.
Con la riforma Gentile del 1923 i regi istituti furono chiusi: la sezione fisico-matematica fu trasformata in liceo scientifico, quella industriale in istituto tecnico industriale, quella di agrimensura in istituto tecnico agrario e per geometri, mentre quella di commercio e ragioneria in istituto tecnico commerciale e per i ragionieri.
Nel 1938 nacquero gli Istituti professionali ma solo nel 1967 troveranno spazio nell’istruzione superiore. Ivrea seguì il destino nazionale anche nell’istruzione, con la peculiarità della città industriale del XX secolo e cioè con scuole aziendali sorte in seno all’Olivetti per formare in maniera ancora più specifica i propri tecnici. Un’ultima nota che varrebbe uno studio: la presenza di numerosi collegi privati in Ivrea in cui vivevano durante la settimana gli studenti che provenivano dal circondario, spesso anche lontano.