Due anni dopo la caduta del suo Governo (per opera di Conte, Salvini, Berlusconi), Mario Draghi ha ripreso un forte ruolo politico in Europa, con un documento critico sulle istituzioni di Bruxelles.
L’ex premier propone un’Europa più risoluta, con decisioni a maggioranza, per far fronte alle nuove sfide mondiali, a cominciare dalle guerre aperte, dall’Ucraina al Medio Oriente. Più Europa, meno chiusure nazionalistiche per competere con Cina, Usa, India… Il suo messaggio ha suscitato vasto interesse e già si parla di una sua possibile candidatura alla presidenza dell’Unione o del Consiglio europeo, spinto dall’asse franco-tedesco. Ancora una volta (dopo la chiamata super-partes a Palazzo Chigi da parte di Mattarella) l’ex presidente della BCE si muove al di sopra del quadro politico italiano.
I partiti, oggi come nel 2022, sono fermi agli stessi problemi, con un interesse preminente alle vicende interne. La Meloni sconta gli irrisolti conflitti con Salvini, le cui posizioni di estrema destra (con Marine Le Pen e i tedeschi dell’AfD) e l’incredibile sostegno a Putin (su Navalny e il voto russo) hanno indebolito il ruolo politico dell’Italia a Bruxelles, nonostante la collocazione nel PPE dell’altro vice-premier Tajani. La stessa premier “paga” l’alleanza con l’ungherese Orban e l’estrema destra spagnola, che ha reso difficile lo spostamento al centro con Ursula von der Leyen.
L’esplosione poi nella Lega della contestazione a Salvini (il fondatore Bossi ha chiesto un nuovo segretario del Carroccio) rende difficile il cammino delle annunciate riforme istituzionali: Forza Italia (sensibile alle critiche delle Regioni del Sud) chiede che il voto sulla legge Calderoli (autonomie regionali) vada dopo le elezioni europee; la Lega minaccia ritorsioni sul “premierato elettivo”, in un clima che fa presagire un rimpasto di Governo in estate (per cambiare alcuni ministri “deludenti”, a cominciare dalla titolare del Turismo Santanchè, sotto inchiesta della Magistratura per gravi accuse, dalla truffa allo Stato all’evasione fiscale). La Meloni, per difendere il primato, punterà ad una campagna elettorale sulla sua persona, candidandosi nei cinque collegi europei, pur sapendo che Strasburgo è incompatibile con la guida del Governo.
Nel centro-sinistra continua la “campagna di Puglia” dell’ex premier Conte: rifiuta ogni intesa col Pd per il sindaco di Bari, anche con un nome nuovo, e chiede l’accettazione del suo candidato. Il “campo largo” non appare di alcun interesse per il M5S, che punta a una campagna elettorale contro i Dem, per ottenere un voto in più alle Europee e rivendicare la guida del “fronte progressista”. La Schlein, indebolita nel suo progetto politico, ha problemi seri all’interno del partito, sia per le candidature europee sia per la scelta a Bruxelles di votare la mozione Macron per “il diritto di aborto” nella Costituzione europea.
La componente catto-dem è in forte difficoltà per una decisione che cambia il quadro politico-culturale del partito, con una connotazione antropologica nel segno del laicismo radicale. Anche il filosofo Norberto Bobbio, difensore della vita da posizioni di sinistra, e lo stesso Berlinguer (che definì l’aborto una sconfitta della società) appaiono rispetto alla Schlein “antiquati” come Aldo Moro.
Nell’area di centro fa discutere l’alleanza di “scopo” (un seggio a Strasburgo) tra la leader radicale Emma Bonino e l’ex premier Renzi, di matrice cattolico-popolare; il programma fa riferimento alla linea liberale europea di Macron: per Renzi è il terzo cambio di posizione, dopo il PPE e il PSOE. Sulla linea Macron anche Azione dell’ex ministro Calenda, che corre da solo: secondo i sondaggi è a rischio l’obiettivo del 4% per eleggere un euro-parlamentare; stessa incertezza a sinistra per l’AVS (Alleanza Verdi Sinistra) di Bonelli e Fratoianni, mentre la lista “pacifista” di Michele Santoro è valutata all’1%.
In questo quadro politico molto frammentato (nonostante il bipolarismo destra-sinistra) il ritorno sotto i riflettori di Mario Draghi conferma la lungimiranza del presidente Mattarella, fautore delle “larghe intese” per il bene del Paese; ora questa linea politica sembra farsi strada anche a Bruxelles, perché – specie in tempi di guerra – gli interessi generali debbono prevalere sui pur legittimi richiami di partito.