Impressiona lo sgomento che colpisce le vittime dell’Olocausto ancora viventi di fronte alla possibilità che l’enorme tragedia possa essere dimenticata oppure diventi oggetto di assuefazione e noia. La stessa Liliana Segre ha espresso questo timore certamente dolorosissimo. Oblio, ipocrisia, negazione, indifferenza sembrano in agguato, oggi più che mai, nonostante l’ampio spazio offerto attraverso film, documentari, interviste, servizi dedicati.

Il nome scelto per ricordare la Shoà, il 27 gennaio, nell’anniversario dell’entrata dell’esercito Sovietico nel campo di sterminio di Aushwitz, è molto appropriato: “Giorno della Memoria”. Memoria del male che è stato compiuto da esseri umani contro altri esseri umani con rigore scientifico e programmazione dettagliata e che ancora oggi lascia sgomenti: l’annientamento di 6 milioni di ebrei e quasi 2 milioni di persone tra zingari, omosessuali, testimoni di Geova, oppositori politici e numerosissimi sacerdoti cattolici, soprattutto polacchi.

Oggi, più che mai, è necessaria una memoria che significhi una responsabilità. Il grido tremendo levato dagli ebrei e in modo commovente e tragico comunicatoci dai vari testimoni ancora viventi, come Sami Modiano, Liliana Segre, Edith Bruck, deve essere raccolto e fatto motivo adeguato di azione.

Innanzitutto, pur nelle diverse sottolineature, dall’immensità del dolore e della miseria, nei cuori dei sopravvissuti e in noi “s’innalza sempre una voce … e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo” (Etty Hillesum ad Auschwitz).

Inoltre, noi cristiani, come scrisse nel gennaio del 1999 su Repubblica Luigi Giussani, ricordando Pio XI, possiamo dire: “Noi siamo degli Ebrei”. C’è una pedagogia divina, affidata al popolo ebraico: “supremo fattore del benessere sociale (è) la concezione del Dio unico biblico, creatore e Mistero …. Dio unico presente nella terra attraverso il Tempio”.

E Cristo si fa carico di tutta la sofferenza del mondo e del Suo popolo. Mentre i nostri fratelli maggiori ebrei portano il pondus diei et aestus, primi operai chiamati nella vigna, anche noi, credenti dell’undicesima ora, viviamo la fatica del cammino nella croce di Gesù, che ha posto la sua tenda, il suo tempio, tra noi.