(Graziella Cortese)
La musica di Maurice Ravel ci accompagna lungo tutto il film: pianoforte, violino, violoncello, le note si allungano e stridono quando i protagonisti parlano o sorridono, o corrono sotto la pioggia.
Maxime e Stephane sono due soci liutai, che lavorano in una bottega-laboratorio di strumenti musicali. Si conoscono da molto tempo, hanno frequentato entrambi il conservatorio e ora lavorano l’uno accanto all’altro ogni giorno: mentre Maxime è sempre dinamico, seducente e cerca di accattivarsi la clientela, il mite Stephane è un uomo cupo e solitario, sempre dedito alla riparazione dei violini, da vero maestro artigiano.
Un giorno Maxime rivela all’amico un’importante novità: si è innamorato di Camille, hanno scelto un appartamento e andranno a vivere insieme.
Stephane non sembra essere molto contento della notizia, mal sopporta i cambiamenti; ma nei giorni che seguono egli stesso pare creare uno strano sodalizio con la giovane Camille: è una donna bellissima e di talento, una violinista emergente, e non può passare inosservata. Stephane la segue discretamente nelle sue esibizioni musicali, finché la donna rimane irresistibilmente attratta da lui, dalla timidezza e dai suoi silenzi.
Ma quando Camille gli dichiara il suo amore gettando all’aria le certezze costruite nella vita, Stephane si ritrae fermamente, ammettendo che “questi sono sentimenti ai quali egli non ha accesso”. Del resto non esiste nemmeno l’amicizia con Maxime, ma si tratta solamente di un interesse professionale reciproco.
I rapporti si scontrano, le parole di Stephane creano sconcerto, tutti i personaggi sono all’improvviso freddi e sfuggono a qualcosa. Il regista Sautet ha messo in scena un vero e proprio trattato di psicologia, una storia cerebrale e intima che ripropone dubbi sull’incapacità di amare e sulla solitudine.
E non è ancora inverno.