(Fabrizio Dassano)

VALPRATO SOANA – Come in una spedizione d’altri tempi, un gruppo di restauratori ha realizzato un cantiere d’alta quota, oltre i 2000 metri in Val Soana, per ridonare l’antico splendore di un luogo particolarmente simbolico non solo per l’Alto Canavese e la Valle d’Aosta. Si tratta del Santuario di San Besso. Il cantiere è stato aperto con la bella stagione ed è stato chiuso, secondo le previsioni, con il rigore del clima e l’esaurimento del primo budget. Ne parliamo con Adriano Gea (che con Ivo Chabot è tesoriere del Santuario) e con Patrizia Gili, responsabile del cantiere di restauro.

Adriano Gea (nella foto sopra), da molti anni lei segue la vita del santuario. Quando nacque l’idea del restauro?
Cinque o sei anni fa perché trovammo delle cartoline degli inizi del ‘900, che raffiguravano l’interno del santuario, e vedemmo chiaramente che la volta era totalmente affrescata. L’idea fu di tirar fuori quello che c’era sotto, anche perché noi conoscevamo solo la volta tutta imbiancata. Idem per le pareti. Si tratta di affreschi semplici: fiori, piccole figure anche geometriche, nulla di così particolare ma importanti per noi, per il nostro territorio, per il santuario di San Besso.

Quindi avete iniziato a muovervi concretamente…
Volevamo fare le cose per bene: abbiamo interpellato uno studio di architettura di Ivrea, con loro abbiamo capito l’iter da seguire. Abbiamo individuato la restauratrice, Patrizia Gili, che ha effettuato alcuni assaggi. Nel frattempo avevamo presentato il progetto di restauro che la Sovrintendenza aveva approvato e in seguito abbiamo partecipato ad un bando della Fondazione Crt dalla quale abbiamo ottenuto un contributo di 28mila euro.

Ed ora il restauro è finito?
Al momento i lavori sono terminati per l’esaurimento del budget. Per finire l’intera volta ci vorrà ancora un po’ di denaro e un po’ di tempo. Non dimentichiamo anche il supporto della parrocchia di Valprato Soana, e della Diocesi di Ivrea che ha manifestato interesse per il proseguo dei lavori.

Il Santuario di San Besso attira sempre attenzione…
La ripresa dell’interesse per il santuario è del 2011; facendo i priori, io e un’altra ragazza, avevamo pensato di organizzare un pranzo e devolvere il ricavato. Poi nel 2012 diventai tesoriere del santuario con Ivo Chabot e da lì è partita l’avventura.
Non mi piace mai parlare in prima persona perché in realtà siamo sempre un gruppo. Abbiamo ringiovanito il rifugio “G. Bausano” attualmente non gestito e che sta in piedi grazie alle offerte al santuario donate dagli escursionisti. Mi piace ricordare che con gli “Amici di San Besso” siamo riusciti anche a riallacciare il legame con la comunità di Cogne; in questo modo è ripresa la tradizione di un’unica messa e un’unica processione nel giorno della solennità. Monitorando i contatti sul web ci siamo accorti della forte presenza estera all’evento in streaming: Inghilterra, Brasile, Francia e Svizzera… Ma perché questo? San Besso continua ad essere studiato un po’ in tutto il mondo, grazie a Robert Hertz, professore alla Sorbona, che venne qui e scrisse un famoso saggio sul culto alpestre del santo. E poi forse anche perché fu una valle di emigranti, soprattutto in Francia.

Per i materiali di restauro è stato necessario usare l’elicottero…
Sono stati lavori molto difficili dal punto di vista logistico perché fatti ad alta quota. Il grosso dei materiali è stato trasportato con il giro stagionale dell’elicottero ed è comunque stato stressante: preparare i carichi sembra banale ma non lo è affatto. Bisognava ridurre il peso per il volo, imballarli per non perderli in aria, caricare il ponteggio e tutti i suoi tubi metallici. Invece per le esigenze dei restauratori si andava su e giù a piedi e con lo zaino in spalla. Tra elicottero e a spalle… sono saliti fin lassù 25 quintali di materiali.

Patrizia Gili, concretamente, che cosa avete realizzato in questo primo restauro estivo?
Abbiamo rimosso tutti gli strati di pittura che erano stati soprammessi alla pittura originale. Poi abbiamo recuperato la pittura, che sapevamo esserci, dalle vecchie immagini in bianco e nero. Il primo lotto di intervento è stato verificare su tutta la volta e su tutte le pareti, in zone differenti, l’esistenza, lo stato di conservazione della decorazione e la possibilità di ripristino. Poi abbiamo cominciato il lavoro di scialbo con mezzi meccanici: bisturi, martellina, a volte qualche solvente e impacchi per ammorbidire gli strati, e sotto, con grande gioia, abbiamo ritrovato la decorazione che c’era e che è abbastanza articolata.

Cosa avete trovato esattamente?
Delle fasce con partiture piatte e con filetti, e poi nei sottarchi e nei centri dei simboli cristiani e in alcune specifiche dei simboli di alcuni vescovi che si presume fossero del periodo a cui risale la pittura.

Siete riusciti a fare una valutazione sull’epoca della pittura?
Abbiamo trovato una data e anche una scritta che si vede appena…1933… dopo lo strato originale perché la decorazione originale è presumibilmente della prima metà dell’800.

Le era mai capitato prima di dover lavorare a 2mila metri d’altezza?
No, soprattutto dovendo percorrere un’ora e mezza a piedi per arrivarci. A livello organizzativo è stato abbastanza complesso. Sono stata molto felice dei collaboratori che ho scelto: Ilenia Cidani, Roberta Comoglio, Donatella Imbesi e Iacco Morlotti. È stata quasi una spedizione, come si faceva una volta al polo Nord o in montagna per molto tempo. Mi sono chiesta quando lo costruirono, di certo non avevano i nostri mezzi.

Lei pensa che con la prossima estate dovrebbe riprendere il cantiere?
Sì, sposteremo il ponteggio nella parte centrale della chiesa e lavoreremo sulla volta. Quindi per quest’inverno il ponteggio rimane montato e poi a giugno saliranno per smontarlo e rimontarlo nella parte centrale.