(Mario Berardi)
Quello del 20 e 21 settembre è un voto di stabilità che impegna il Governo Conte, confermato dalle urne, a riprendere rapidamente il lavoro con quattro urgenze: i piani concreti per l’utilizzo dei 207 miliardi di euro concessi dall’Europa, in un Paese che ha perso un milione di posti di lavoro per il lockdown; gli investimenti per la sanità in una fase di ripresa del covid-19; una nuova attenzione per la scuola, superando i limiti della ministra Azzolina; il completamento degli impegni referendari con il varo delle leggi per la riforma elettorale e la revisione dei collegi.
Referendum
Gli elettori (con il 70% al sì) hanno seguito alla lettera il quesito scritto sulla scheda (taglio dei parlamentari) e hanno rifiutato l’attacco al Governo contenuto nella linea politica de “la Repubblica” e altri media (fatta eccezione per il “Corriere” e “Il Fatto”) schierati per il “No”; ora la maggioranza deve accogliere i giusti rilievi contenuti nelle motivazioni di molti costituzionalisti critici, con una nuova legge elettorale proporzionale, adeguando i collegi di Camera e Senato, eguagliando la base elettorale delle due Assemblee (voto univoco a 18 anni).
È un lavoro da compiere entro il luglio 2021, anche per dare certezza giuridica alle istituzioni parlamentari prima dell’inizio del “semestre bianco” del Presidente Mattarella.
Regionali
Salvini aveva profetizzato l’en-plein per il centro-destra: in realtà è stato un pareggio (tre a tre), con una dura sconfitta per il leader della Lega in Toscana, con il bis dell’operazione Emilia-Romagna.
Ancora una volta il capo del Carroccio, insieme alla Meloni, aveva chiesto un voto per andare alle elezioni anticipate: il nuovo stop conferma che gli italiani, in questa fase, chiedono al Governo e al Parlamento di lavorare, senza vuoti di potere o avventure elettorali. Ben altre sono le priorità. Il leader della Lega ha poi registrato sul fronte interno il “trionfo” della linea istituzionale del governatore del Veneto Zaia, la cui lista personale ha stracciato quella del Carroccio, confermando le divergenze tra la proposta autonomista di Zaia e la nuova versione nazionale di Salvini.
C’è poi la delusione di Forza Italia, battuta in Campania e ridotta a risultati a una sola cifra. Secondo l’ex ministro Enrico Costa, uscito da poco dagli Azzurri, i parlamentari berlusconiani sono divisi: per metà vorrebbero unirsi a Salvini-Meloni, mentre l’altra parte penserebbe a una nuova aggregazione centrista, disponibile anche ad un atteggiamento positivo verso il Governo Conte.
Situazioni diverse nel centro-sinistra
Nel centro-sinistra il ministro Di Maio si è intestato il successo referendario e ha attribuito al reggente Crimi la sconfitta in tutte le elezioni regionali, con una media sul 10%. Dopo la condanna a sei mesi della sindaca di Torino Appendino (e la sua sospensione dal M5S), è possibile che gli Stati Generali del Movimento ridiano allo stesso Di Maio la guida, essendo ineleggibile la sindaca sabauda ed emarginato il “venezuelano” Di Battista.
Resta il fatto politico del netto sorpasso elettorale del Pd, che di fatto diviene il traino della coalizione Conte. Il segretario Zinga-retti ha battuto gli avversari interni che puntavano alla sua sostituzione con Bonaccini, governatore dell’Emilia, in raccordo con i renziani rimasti nei Dem; quanto all’ex premier fiorentino, i risultati della sua creatura Italia Viva sono modesti: 4% in Toscana con i radicali, il 2% in Puglia… Molti consigliano all’entourage del “giglio magico” di ricercare un accordo con lo stesso Zingaretti.
La quarta gamba del Governo, la sinistra di Leu, piccola nei risultati elettorali, punta invece ad un accordo politico unitario di tutte le componenti di maggioranza.
Conte e il Governo
E il premier Conte?
Si è espresso per il sì e per un’intesa anche elettorale tra Pd e Grillini; ora si propone come mediatore tra Zingaretti e Di Maio, anche in vista dell’elezione del successore di Mattarella: i “boatos” parlano di un esponente vicino al Pd al Quirinale e della permanenza dello stesso Conte a Palazzo Chigi per l’intera legislatura.
Sembrano discorsi prematuri. Come lo stesso premier ha dichiarato, sarà la gestione del Recovery Fund a decidere le sorti del Governo e dei partiti di maggioranza; data l’entità delle somme disponibili (superiori al famoso piano Marshall), sarebbe auspicabile una collaborazione tra Governo e opposizione nell’interesse esclusivo del Paese; per questo dovrebbe cessare l’interminabile campagna elettorale, pensando a buone leggi.