(Fabrizio Dassano)
La grande fuga dell’ultimo week-end ha visto un certo movimento di persone, ma non le tantissime che si potevano ipotizzare… Il timore per il virus aleggia ancora, e molti vacanzieri del fine settimana son rimasti guardinghi e saldamente ancorati al Canavese.
Un pattuglione si è comunque lanciato sui lunghi nastri d’asfalto con destinazione le riviere marine. E io cronista d’assalto non potevo essere da meno. Complice un sole fantastico durato l’intero arco delle due giornate questi valorosi, giunti alle 8,40 del mattino in riva al mare per una solenne colazione, hanno parcheggiato vicino alla chiesa di San Paragorio di Noli, autentico gioiello romanico dell’XI secolo, tenuto aperto da una coppia di volontari encomiabili. All’ingresso, dopo aver costeggiato delle tombe ad arcosolio in un vialetto, ci ha accolti una melodia di canti gregoriani. Connubio perfetto d’architettura e musica e sacralità capace di donare alle tre navate la solennità delle fede del tempo. Un battistero paleocristiano ci rimanda molto indietro. Poi scendiamo sotto nella cripta, che ci ricorda molto quella della cattedrale d’Ivrea. Notevole il crocefisso del Volto Santo, una scultura forse orientale molto venerata del XIII secolo e poi risistemata dal D’Andrade.
Usciti dalla chiesa, ci precipitiamo in spiaggia malgrado il vento. Ci si crogiola al sole per tutto il giorno, a levare dalla pelle questo lungo inverno passato. Non siamo nemmeno più abituati a così tanta luce, e dovendo chiudere gli occhi per il sole, in cinque minuti i gabbiani, la risacca e qualche raro essere umano, sono la colonna sonora del mio film preferito – “Sonno profondo” –, in cui mi tuffo schiantato sull’arenile come un dugongo arenato. Soltanto i languori della fame avranno tanta forza da svegliarmi… E in effetti al ristorante divoriamo tutto senza pietà: siamo i barbari del Nord scesi in Liguria affamati di olive, formaggio e vino Pigato.
Il mattino dopo chiudiamo il cerchio: salita al castello del monte Ursino di Noli. Già luogo fortificato dal X secolo, oggi vediamo i ruderi nella forma del XV secolo. Qualche amministratore burlone locale ha messo nella torre un ascensore (guasto: una torre arrugginita del XX secolo in una in pietra del XV). Un giovane docente precario, qui volontario, ci regala una spiegazione storica, direi quasi cartesianamente perfetta che in un attimo ci fa comprender la forza di Noli nel contesto ligure. Poi va oltre e ci stupisce sull’uso del pesce in Liguria nel Medioevo: non lo si mangiava ma lo si esportava sotto sale, al Nord, in Canavese soprattutto, in cambio della preziosa canapa per le sartie e le vele delle navi del commercio Mediterraneo.
Insomma, scopriamo che il piatto ligure più tipico era il coniglio con aglio e pinoli, mentre il pesce è una più recente invenzione turistica. Intanto s’è fatta l’ora di pranzo e decidiamo di fidarci ciecamente delle invenzioni turistiche, anche perché il ritorno al primo ristorante utile è tutto in discesa verso un fritto di paranza!
Lunedì siamo rientrati al lavoro sotto la pioggia sferzante che ha contraddistinto pure i giorni successivi. Il sole qui non c’è, anzi… Quasi quasi stasera farò la polenta sul putagè!