Annunciata dal Vescovo di Ivrea, Mons. Edoardo Aldo Cerrato, nel corso della S. Messa celebratasi in Cattedrale il 15 agosto, Trigesima della nascita al Cielo di

Mons. Luigi Bettazzi – leggi qui – ,

questa lettera preparata dal Vescovo emerito di Pinerolo, Mons. Pier Giorgio Debernardi, per anni Vicario Generale della Diocesi di Ivrea, quando sulla Cattedra di Sant’Eulogio era proprio Mons. Luigi, è un documento di rara sensibilità umana, ecclesiale, pastorale.

Una vera gemma preziosa vibrante di affetto e luminosa di una sapiente visione di orizzonti ampi, non angusti, capaci di futuro, che il Presule ha, in certo modo,

anticipato domenica scorsa a Prascondù – leggi qui

dopo che, finalmente, era riuscito a raggiungere l’Italia, lasciando temporaneamente la martoriata terra del Burkina Faso, l’ex Alto Volta, dove è in missione.

Possiamo pubblicare integralmente questo scritto, che è presentato nella forma di una lettera idealmente scritta da Mons. Pier Giorgio, in risposta ad altra, ma questa davvero ricevuta, sia pure con ritardo dovuto ai trasporti in quella remota regione del Mondo, che Mons. Luigi Bettazzi aveva a lui inviato con gli auguri di Pasqua.

Non è una lettura breve, ma è avvincente, vi si avverte il palpito, come di un cuore capace di trasmettere una lezione che resterà nella memoria di quanti amano l’umanità, amano Cristo e la sua Chiesa.

Ecco la lettera, integrale

***

Carissimo Mons. Luigi,

quindici giorni fa, nei primi giorni di luglio, ricevevo la tua lettera contenente gli auguri di Pasqua.

La custodisco preziosa, come un tuo testamento nei miei confronti.

Terminavi dicendo: «Ti ricordo sempre e quasi ti invidio per la tua scelta missionaria».

Devo dire, però, che la scelta missionaria me l’hai insegnata tu.

Ancora prima di papa Francesco, tu parlavi di Chiesa in uscita; infatti, una delle prime iniziative dopo il tuo arrivo a Ivrea, fu di inviare dei preti Fidei donum in Brasile.

In quel gruppo ci dovevo essere anch’io.

Stavo preparando le valigie per partire nei primi giorni di ottobre del 1971, quando a giugno, la scoperta che mio papà aveva un cancro mi fece cambiare decisione.

Anzi, tu stesso, mi consigliasti di rimandare la partenza nell’attesa di una conoscenza più dettagliata della sua situazione; salparono da Genova solo don Gian Battista Ossola e don Pietro Garbiero.

La destinazione era la diocesi di Barra in Bahia, che a quell’epoca era una zona poverissima.

II servizio pastorale era svolto da un anziano prete brasiliano novantenne e da alcuni monaci benedettini provenienti dall’Austria.

La scelta missionaria l’ho imparata da te.

Anche tu, ricordo bene, desideravi terminare la tua vita in Africa, in Burundi, dove già operavano preti della diocesi di Ivrea, don Gobbi Fabrizio e don Romanoni Virginio.

Ma poi, a malincuore, hai deciso di rimanere in Italia. Ti avevano convinto che la tua presenza sarebbe stata preziosa nel nostro Paese per sostenere il cammino del Concilio.

Se dovessi sintetizzare la tua vita la riassumerei in tre parole: vicinanza/affetto, amore per la Chiesa, passione per la pace.

Attenzione e vicinanza affettuosa al prossimo

La vicinanza e l’attenzione agli altri sono sempre state caratteristiche della tua personalità.

Oggi si parla di “legami caldi” anche nella pastorale della Chiesa, ma qualche decennio fa questo linguaggio era poco praticato, almeno nell’ ambito ecclesiale, eppure tu già lo parlavi con disinvoltura e convinzione.

Legami caldi prima di tutto con le famiglie dei tuoi preti.

Gli esempi sono tanti.

Ricordo la vicinanza che hai avuto nella malattia dei miei

genitori.

Lascio parlare mia mamma per la quale hai sempre mostrato molto affetto, in particolare nel tempo in cui ero vicario generale, risiedendo a Banchette.

Quante volte, passando davanti al condominio, fermavi la macchina, suonavi il campanello e salivi al primo piano a prendere il caffè.

E uno dei ritornelli tra te e mia mamma era questo: «Guardi che il mio Pier Giorgio le vuole tanto bene»; e tu rispondevi: «PierGiorgio lo sa che anche il vescovo gli vuole molto bene».

A lei, caro mons. Luigi, hai fatto la confidenza che presto, forse, sarei stato nominato vescovo. La mamma ti domandò: «Ma lo mandano lontano?»; tu le risposi : «No, certamente rimarrà in Piemonte”.

In seguito mi hai confidato che a questa notizia la mamma pianse.

Voglio ancora ricordare altre due mamme.

Eri in visita pastorale nel chivassese.

Una mamma si avvicinò per chiedere una benedizione per il bambino che portava in grembo; insieme avete recitato l’ave Maria e poi hai impartito la benedizione a quel ventre che custodiva il nascituro. Ora quel bimbo è un ottimo prete che guida diverse parrocchie nel basso Canavese.

Ricordo ancora un’altra mamma con una storia diversa dalla precedente.

Era una donna che voleva abortire.

Tu avesti con lei diversi colloqui, cercando di convincerla di non giungere a questa decisione, promettendole anche un sostegno economico.

Dopo molte titubanze la donna accettò la proposta.

Quanta gratitudine conservò per te questa donna, che tu accoglievi in vescovado per sostenerla sul piano educativo e anche economico, con la bambina che stava crescendo.

Una Chiesa povera, ma ricca d’amore

Hai amato appassionatamente la Chiesa e desideravi che la tua testimonianza di vita, la manifestasse come la voleva Gesù, povera e ricca d’amore.

Tra i tanti libri che hai scritto, ho più volte letto le pagine di “Una Chiesa per tutti”.

Una Chiesa inclusiva che non esclude nessuno, le cui porte sono sempre aperte a chi bussa.

Le parole scritte in quel libro sono un anticipo di quelle che sentiamo ripete oggi da Papa Francesco.

Desidero soprattutto sottolineare la tua insistenza sulla Chiesa povera, nei suoi pastori e nei suoi fedeli.

Non voglio ripetere le parole già dette in questi giorni da tante persone, ma sottolineo, invece, come la tua vita è stata una preziosa icona della Chiesa povera.

Durante il Concilio, parecchi vescovi sono interventi su questo tema.

Ricordo, in particolare, il cardinale Lercaro. Alla conclusione del Concilio, una quarantina di vescovi hanno firmato un documento denominato il “patto delle catacombe” in cui ciascuno, ritornato alla propria sede, si impegnava a vivere uno stile di povertà secondo il Vangelo.

Tra questi c’ eri anche tu.

Mi permetto di citare ancora alcuni esempi.

Parecchie volte mi hai confidato: «Non ho più nulla sul conto», il che voleva dire di cercare qualcosa per continuare la tua azione di carità verso i poveri.

Un giorno andai dai canonici della cattedrale per chiedere che alcuni alloggi di proprietà del capitolo fossero dati in affitto per i profughi che provenivano dalla Jugoslavia e per le famiglie povere della città.

La risposta di alcuni canonici (oggi già tutti morti), fredda, anzi gelida, fu: «E chi paga?».

Mi vergognai di queste parole perché anch’io, a quell’ epoca, ero canonico della cattedrale.

Ritornai a testa bassa. Tu mi dicesti soltanto: «Aiutami a trovare i soldi per pagare l’ affitto».

C’ è una persona che entra sempre in questi momenti di grave crisi e si chiama Provvidenza.

Anche in questa occasione intervenne prontamente.

I poveri prima di tutto

Di giorno abitavo in vescovado ma di notte andavo ad accudire mia mamma malata nella vicina Banchette.

Al mattino giungevo presto in città.

In vescovado spesso trovavo, sul sofà dell’entrata, una persona che dormiva, e, nello stanzone attiguo, altre distese su materassi messi lì dal vescovo per rispondere alle necessità, soprattutto d’inverno.

Sovente c’era anche un uomo dedito al vino che di notte vomitava, e al mattino c’era una puzza insopportabile che metteva a dura prova anche la signora, di carattere mite e paziente, che veniva fare le pulizie.

Ma quando giungevi tu, caro mons. Luigi, tutto si appianava.

Sono questi piccoli gesti. Ma non dimentichiamo che la storia si costruisce come il mare che è formato da piccole gocce.

Negli anni del tuo episcopato, in diocesi, si rafforzò la Caritas e sorsero diverse istituzioni a favore dei giovani presi nel laccio della droga; la Casa dell’ospitalità e la Casa di Abramo, per venire incontro alle necessità di famiglie e persone anziane sole; tutto gestito con spirito ecumenico, senza guardare alla fede religiosa e alla provenienza geografica

delle persone.

Solidarietà con i lavoratori

Un capitolo appassionante è quello della tua presenza nel mondo operaio e la tua difesa dei lavoratori in un momento di grave crisi della Olivetti e di altre fabbriche

dell’indotto.

Quando la struttura economica del territorio mostrava le prime crepe, nel febbraio 1971 ci fu l’iniziativa del blocco simbolico dell’autostrada nel tratto tra Torino e Quincinetto a sostegno del Cotonificio valle Susa di S. Giorgio.

Tu manifestasti la volontà di essere presente.

Apritio cielo! … Nonostante i pareri contrari, seguisti la tua coscienza e partecipasti.

Ricordo inoltre la tua dura lettera a De Benedetti sul futuro dell’Olivetti del 10 ottobre 1979 e la difesa dei lavoratori della Montefibre e di altre fabbriche del Canavese.

Là dove era in gioco il posto di lavoro, tu eri sempre presente.

Ancora un ricordo: dopo una manifestazione a difesa dei lavoratori, alla quale tu partecipasti, il giorno seguente, in città, venero affissi manifesti ampi come lenzuola, che portavano la scritta perentoria, intimando che tu vescovo, ti ritirassi in sacrestia insieme alla “tua scomposta pretaglia”.

Non ti intimidirono, certo, queste parole, perché hai continuato a tirare dritto su ciò che la libertà evangelica ti comandava.

La passione per la pace

La parola pace era per te il cuore del Vangelo, perché solo Gesù è la nostra pace.

Di qui si comprende la tua passione per la pace da realizzare in famiglia, nel territorio e nel mondo intero.

In particolare credevi fermamente alla potenza della preghiera per la pace e desideravi che nella preghiera dei fedeli, soprattutto la domenica, ci fosse una particolare intenzione per questo scopo.

È facile fare retorica sulla parola pace e non accorgersi che si ha la guerra in casa.

Predicavi la pace, cercando di realizzarla innanzitutto in diocesi, tra preti e tra laici e preti.

Un piccolo episodio: il giorno di Natale, nelle prime ore del mattino giunse in vescovado la telefonata di un prete che con parole furibonde si scagliava contro il vescovo e i preti che gli stavano attorno.

Le ho ben impresse ancora nella memoria:

«leri sera ho celebrato la Messa di mezzanotte con poche persone e oggi non mi sento di celebrare, sono solo».

La tua risposta è stata immediata: «Celebra tula Messa solenne in duomo e io vado a celebrarla da don …».

Questa decisione operò un cambiamento totale, fu come il sole che appare improvvisamente tra le nubi.

Subito telefonai al quel parroco per comunicargli che il vescovo era già in viaggio e la sua parrocchia. Il risultato fu che egli chiamò i chierichetti e li inviò in tutte le case del piccolo paese ad annunciare che arrivava il vescovo a celebrare e la Messa delle undici, e, quando vide l’auto salire la collina, fece: suonare a festa le campane.

Caro mons. Luigi, dopo aver ricordato questi piccoli gesti casalinghi di pace, voglio passare al tuo percorrere le strade del mondo con la stessa semplicità, prontezza e amore.

Emblematica fu la marcia dei cinquecento a Sarajevo, insieme a don Tonino Bello dopo una notte passata in mare con onde spaventose che sembravano travolgere I’ imbarcazione.

Fu questo un bel segno di pace, eroico e fecondo, espressione della cultura della non violenza, che ancora oggi si ricorda in quella città.

Non ti arrendevi davanti alle difficoltà e alle Calunnie, come avvenne a causa del dialogo con alcuni esponenti politici del Vietnam del nord, come p pure non ti arrestavi di fronte ai visti negati per l’ingresso in alcuni paesi dell’America latina dove vi erano regimi dittatoriali.

Bisogna riconoscere che al tuo fianco vi erano due cardinali, Pellegrino e Ballestrero, che in forme diverse ti stimavano e sostenevano la tua testimonianza, chiaramente evangelica, soprattutto come presidente di Pax Christi.

Per te il dialogo non aveva colori, perché è lo strumento che Dio usa continuamente con I’umanità.

Gioiosi ricordi

Prima di lasciare Ivrea per andare a Pinerolo, il Consiglio pastorale diocesano e il Consiglio presbiterale, in seduta congiunta,vollero organizzare un saluto, lasciandomi un dono come ricordo.

Tra i numerosi interventi, una signora mi rivolse questa domanda: “Quali sono i ricordi più belli della diocesi e del territorio che porta con sè? Le risposi: «ll primo ricordo riguarda la prima visita pastorale di mons. Luigi alla diocesi. Una visita accurata, capillare, durata più anni. Lo scopo era conoscere la diocesi nella sua ferialità, e le realtà sociali e politiche che in essa prosperavano.  Dalla pianura alla montagna, anche le realtà più nascoste egli le volle visitare, fotografare, e di ogni parrocchia fare una relazione di quanto aveva visto. Fu una esperienza faticosa, ma gioiosa, che permise alla gente di conoscere il vescovo e tu, mons. Luigi, di conoscere la gente e soprattutto i preti. Entrò in tantissime case là dove c’era una sofferenza, una malattia, oppure un momento di gioia da condividere.

Fu un’esperienza bellissima, però difficilmente imitabile.

Il secondo ricordo è quello relativo ai due Sinodi.

Il primo durato due anni, preparato dal documento: Insieme per pregare e per servire (lo definivi quasi un documento

celeste, perché scritto nell’alto dei cieli sull’aereo andando in giro per il mondo).

Il secondo Sinodo verteva sulla Parola di Dio, guidato dal Priore di Bose, Enzo Bianchi, che lasciò una traccia profonda

nella vita della diocesi.

Il terzo ricordo è la visita di Giovanni Paolo II.

Per me è stato un momento esaltante, soprattutto perché il Papa celebrò la SantaMessa nella mia parrocchia (lunedi 19 marzo) inaugurando i lavori archeologici e di restauro.

Desidero ancora ricordare un piccolo particolare, quasi insignificante, avvenuto domenica sera (18 marzo) in Cattedrale dove erano riuniti i laici impegnati nella diocesi, gli operatori pastorali e i preti. Prima del discorso del Papa, ogni gruppo espresse brevemente una sintesi del loro lavoro pastorale.

Io parlai a nome del clero.

Al termine volli aggiungere questa espressione non scritta: «Santità, oltre tutto questo, voglio assicurarle che noi tutti vogliamo un gran bene al nostro Vescovo»; seguirono molti applausi.

Ma voglio mettere in risalto un particolare notato da pochi. Egli, prendendomi il foglio di tra le mani, mi disse: «Delle sue ultime parole, anche il Papa è molto contento».

Grazie per gli insegnamenti

In queste tre parole, vicinanza-affetto, amore alla Chiesa e passione per la pace, è sintetizzata tutta la tua vita, non solo per la diocesi di Ivrea ma per tutta la Chiesa italiana e per Pax Christi.

Ancora questo ni permetto di sottolineare: quello che ho imparato da te ho cercato direalizzarlo in forma molto frammentata e imperfetta attraverso il mio ministero episcopale.

Aggiungo anche che l’ecumenismo e il dialogo interreligioso hanno trovato in te un testimone impareggiabile.

Delle belle e coraggiose iniziative sono state realizzate con la chiesa Valdese a quel tempo presieduta dal Pastore Gianni Genre.

Tu ci hai insegnato che l’ecumenismo e il dialogo interreligioso sono un cammino irreversibile. Non lo abbiamo intrapreso per nostra strategia.

E’ il Signore che ha messo davanti ai nostri occhi un indicatore per orientarci su questa strada.

Lui stesso è la meta che dobbiamo raggiungere.

Ancora grazie per gli insegnamenti che mi hai lasciato e per il bene che mi hai voluto

Con tantissimo affetto.

+ Pier Giorgio, vescovo

Ouagadougou 18 luglio 2023