Il 6 dicembre scorso è stato presentato il 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Dalla sua lettura appare una situazione di generale scontento, probabilmente esistente anche a livello globale e sovranazionale (sicuramente nel mondo Occidentale), in cui ogni nazione sta affrontando insoddisfazioni nei confronti di un mondo immaginato e pensato diverso fino ad oggi, in cui il salto d’epoca non è stato ancora “digerito”.
In casa nostra si fa strada la “Sindrome Italiana”: ristagniamo in una condizione di medietà, galleggiamo, il che non ci permette né di cambiare le cose che non vanno, né di accrescere nelle fasi positive dello sviluppo. Questa modalità, che potrebbe sembrare rassicurante è in realtà frustrante perché spegne la spinta di miglioramento lasciando spazio a sentimenti antiliberali e democratici.
Dal Rapporto si vede come cresce un’avversione ai valori un tempo irrinunciabili della partecipazione alla democrazia (l’elevato astensionismo alle urne ne è l’esempio più lampante); emerge pure come i valori individuali e la rivalità delle identità prevalgano di fronte a valori comunitari e come la lotta per il riconoscimento sociale della propria individualità comporti l’adesione sistemica al dualismo “amico/nemico” capace di generare solo ulteriori disparità sociali. A fronte di questa e di numerose altre derive inquietanti che il rapporto definisce, ci si chiede con quali risorse culturali l’Italia muoverà i passi verso un cambiamento. Rimanere nella “Sindrome Italiana” non potrà fare altro che danneggiare le economie e ledere drammaticamente la resilienza.
Dal Rapporto, poi, emerge il dilagare dell’ignoranza. Se gli analfabeti sono una esigua minoranza, la carenza di conoscenze di base rende i cittadini italiani impreparati e vulnerabili ad accogliere una riflessione profonda su un fine da perseguire per una nuova ricerca di senso. Non raggiungono i traguardi di apprendimento per la preparazione in italiano il 24,5% degli alunni al termine della primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media e il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (negli istituti professionali si raggiunge l’80%) e si ha un andamento analogo anche per l’apprendimento della matematica.
Emerge una “fabbrica degli ignoranti” in cui per molti è sconosciuto o confuso l’anno della rivoluzione francese e si ignora chi fosse Giuseppe Mazzini o chi ha affrescato la Cappella Sistina. Preoccupa pure che il 52% dei docenti si limiti a verificare l’avvenuto svolgimento dei compiti a casa senza correggerli o che il 43% degli insegnanti assegni compiti che gli alunni non saprebbero svolgere senza l’aiuto dei genitori o di un adulto competente in quella determinata area.
Questa arretratezza culturale, questa ignoranza di base è un terreno fertile per lo sviluppo di pregiudizi e false credenze. La rivoluzione culturale è tema cocente: bisogna aprire i vocabolari subito per trovare nuove parole, ampliare i concetti con sinonimi e significati per uscire fuori dalla melma della mediocrità che ci limita, ci rende fragili, ansiosi e confusi.