Più di metà degli Italiani (51%) sono insoddisfatti del funzionamento della democrazia nel nostro Paese: lo afferma un sondaggio Ipsos pubblicato dal “Corriere della Sera”. Il giudizio negativo è cresciuto negli ultimi 5 anni e conferma la fuga dalle urne registrata nelle recenti consultazioni, politiche e amministrative. Contestualmente gli elettori pensano (72%) che l’economia sia truccata a vantaggio dei ricchi e dei potenti. È quindi la crescita delle ingiustizie il fenomeno più grave registrato dai sondaggisti, con squilibri sempre più forti tra ricchi e poveri, tra garantiti e “fragili”.
La situazione è analoga in altri Paesi europei, dalla Francia alla Polonia, alla Croazia… In Occidente fanno peggio solo gli Stati Uniti (57%), ove lo scontro presidenziale Trump-Biden è al limite della rottura istituzionale.
Diversamente dalle previsioni del politologo americano Louis Fukuyama, il trionfo del capitalismo, dopo la caduta del muro di Berlino, non ha condotto alla “fine della storia”, ma all’acuirsi delle contraddizioni sociali e politiche, negli Stati e tra gli Stati (l’esplosione delle guerre, ovvero “la terza guerra mondiale a pezzettini”, ne è la conferma). È mancato un ruolo equilibratore della politica, nel segno della solidarietà, della promozione della giustizia, della tutela dei più deboli.
Il sondaggio, obiettivamente inquietante per chi crede nei valori delle istituzioni democratiche nate dalla Resistenza al nazi-fascismo, spunta in un momento in cui l’Unione europea – costruzione coraggiosa dei Padri costituenti (Adenauer, De Gasperi, Schumann) – appare in una situazione di stallo, bloccata dalle spinte nazionaliste, sovraniste, populiste. L’ungherese Orban ha messo il veto agli aiuti all’Ucraina, favorendo nei fatti l’aggressore Putin; l’Italia blocca l’entrata in vigore del Fondo salva-Stati (Mes), il patto di stabilità è in alto mare per le spinte nazionaliste di diversi Paesi. L’UE appare un condominio litigioso, mentre il mondo in fiamme esigerebbe una presenza coraggiosa, fedele alle sue radici, laiche e cristiane.
La sola dimensione del mercato non è in grado di far risorgere Bruxelles; è indispensabile una forte guida politica, non succube dei veti egoistici delle singole nazioni, con un nuovo ruolo decisionale del Parlamento di Strasburgo.
Al prossimo voto europeo del 9 giugno 2024 hanno dedicato lo scorso weekend i due maggiori partiti italiani, FdI e Pd. Molti scontri, molti “rumors” sui media, ma il quadro politico appare fermo alle politiche del 2022. Ad Atreju la Meloni ha portato due leader europei “opposti”: il premier albanese Rama, socialista, che auspica una convergenza al centro di FdI; e il leader dell’estrema destra spagnola, Abascal, che propone una linea di rottura degli equilibri di Bruxelles, nello schema contrapposto destra-sinistra. La Meloni, ancora una volta, non ha scelto, mantenendo la linea del doppio binario, istituzionale e di partito. Ma non sono la stessa cosa la popolare Ursula von der Leyen e l’ungherese Orban! Peraltro la contraddizione è insita nella coalizione di Governo, con la Lega di Salvini che punta alla guida europea dell’estrema destra mentre Forza Italia con Tajani è ancorata al centro, con il PPE della Merkel.
Al convegno del Pd ha dominato la scena l’ex premier e ex Presidente della Commissione UE Romano Prodi con due messaggi: un forte rilancio dell’europeismo, un sostegno alla segretaria Elly Schlein, indicata come “federatrice” del centro-sinistra. Il leader del M5S Conte ha respinto questo appello, negando ogni ruolo unificante alla leader dem.
Siamo quindi alle condizioni di Enrico Letta prima delle politiche: nessuna alleanza del Pd, né con i centristi, né con i grillini e anche a livello regionale la situazione è critica: i Pentastellati non perdono giorno senza attacchi al Pd, ultimo caso la Tav, mentre con le diverse aree centriste il dialogo è fermo. Per i Democratici si ripropone drammaticamente la scelta tra radicalismo e riformismo, per evitare una consultazione elettorale già decisa e, quindi, poco attraente.
Le istituzioni democratiche vivono e crescono sulla corretta dialettica maggioranza-opposizione, nella ricerca obiettiva del bene comune. Gli interessi legittimi di partito non possono oscurare un disegno complessivo di società, nella linea dello sviluppo, dando motivo di speranza alla pubblica opinione.