Oggi è il 14 febbraio e il calendario della Chiesa ricorda i Santi Cirillo e Metodio che sono compatroni d’Europa, che in questo periodo sembra aver bisogno di un surplus di protezione divina per le innumerevoli difficoltà che incontra e anche di più per gli assalti sovranisti da cui deve difendersi, e alla quale certi Stati l’hanno sottoposta. Una Europa, ricordiamolo, che non è solo quella delle grandi capitali ma è l’Europa dei popoli che la abitano, della loro cultura, della loro storia.
Ma, sempre nel calendario della Chiesa oggi si ricorda anche San Valentino che, almeno come nome, ha certamente superato la fama di Cirillo e Metodio.
L’aspetto commerciale ha aggiunto non poco a questa non ricercata notorietà del santo e dei suoi protetti. Valentino è il santo dell’amore, il patrono degli innamorati, dei fidanzati, anche se le statistiche indicano quanto sia caduto in disuso il fidanzamento, quanto abbia cambiato forma e forme –addirittura il nome; relazione? amicizia? frequentazione?- e si presenti ai giovani che ne avrebbero l’età come qualcosa di sorpassato. In 10 anni il numero di persone senza un legame di coppia è cresciuto del 46%, da 5,5 a 8,8 milioni, sono calati i matrimoni civili e religiosi, sono aumentati i divorzi e le separazioni, sono esplosi i numeri di coloro che se ne stanno accoccolati ai genitori; quasi un single su tre vive ancora a casa con i genitori, gli uomini nel 54% dei casi, le donne sono più indipendenti, solo (solo?) il 46%. Oltre un terzo dei single, cioè il 36%, è «single di ritorno», cioè, prima era in coppia o sposato.
Essere single è sempre meno una condizione di passaggio. Le forme nelle quali l’amore si realizzava un tempo sono oggi in gran parte decadute. E l’amore? Decaduto anch’esso insieme alla forme che lo contenevano e nella quale si sviluppava? Siccome l’amore riguarda tutti, anche chi l’ha perso e chi non l’ha ancora trovato e di amore sembra impossibile farne a meno per la natura stessa dell’Uomo che sente la necessità di donarlo e di riceverlo, sorge una domanda: noi del XXI secolo abbiamo ancora il “senso dell’amore”? E, soprattutto, siamo in grado di praticarlo e di insegnarlo ai nostri figli e alle giovani generazioni?
Parlare d’amore ai giorni nostri è difficile, forse una tra le cose più difficili. Ne parlano tanto le canzoni e il recente festival di Sanremo non è che l’ultima prova. Leggete qui sotto il pezzo della Terribili che affronta la festa di San Valentino proprio partendo dalle canzoni inedite sul palco della città dei fiori. E’ amore arrabbiato, esasperato, distorto, confuso, agognato, rifiutato, atteso… Allora, abbiamo ancora il senso dell’amore? Difficile rispondere. Condividiamo il pensiero di Silvia Rossetti espresso pochi giorni fa sul Servizio di Informazione Religiosa. “Il fatto è che l’amore lo abbiamo sezionato. Come fossimo intenti a farne a un’accurata autopsia post mortem. Dopo l’epidemia devastante del relativismo, abbiamo isolato in camere iperbariche quelli che ci sono parsi essere i diversi livelli dell’amore. Da quel tutto indistinto, animoso, fervido e denso di pathos, che era l’amore dell’immaginario antico, siamo approdati a un amore incapsulato e smembrato, asettico. Nel quale ci si può orientare per mezzo di parole chiave come: infatuazione, flirt, tresca, sentimento, passione e sesso. Inoltre, su tutto il trasporto e la potenza del sentimento è calato implacabile il filtro della psicanalisi che è riuscita nell’intento di esorcizzare l’amore mediante formule fisse e razionali. Le figure archetipo “madre”, “padre”, “super-io” hanno disinnescato tutti gli incantesimi e l’amore si è ridotto a paragrafo bidimensionale rintracciabile sull’indice di un qualsiasi manuale di psichiatria.
Abbiamo trasmesso questa eredità ai nostri adolescenti: la voglia di amare, lasciandoci andare, e assieme a essa il disincanto corredato di foglietto illustrativo. “Non assumere amore se si è troppo fragili. Non assumere amore assieme a sconsiderate illusioni”. “Non assumere amore in dosi troppo elevate”. Fin troppe raccomandazioni per questa umanità fragile e malata. Quindi oggi i nostri figli hanno avuto in dono un ologramma, di cui si ha paura. Un idolo effimero e doloroso al contempo, che non ammette possibilità di appello.
Abbiamo insegnato un amore troppo fisico, troppo corporeo perché siamo i primi a fare del corpo la nostra prima, urgente, esasperata preoccupazione. Non siamo pronti a invecchiare, a cedere il posto. La senilità e la morte ci terrorizzano. Abbiamo immerso le nuove generazioni nella precarietà dei nostri amori e le abbiamo immolate assieme allo svaporare delle nostre illusioni, mettendo fine a matrimoni con violenza e acredine. Seppellendo assieme ai nostri fallimenti la fiducia per l’altro.
Abbiamo creduto di poter scampare alle spire soffocanti e, talvolta, letali dell’amore, attraverso il diversivo del sesso, prendendo un grosso abbaglio e inaridendo ulteriormente le nostre coscienze.
Eppure nei nostri ragazzi è rimasto vivo il desiderio d’amore, di essere amati soprattutto. Forte palpita la richiesta, anche se tende a dissimulare se stessa e a mascherarsi nella pletora degli altri sentimenti. E’ un sentire timido, pudico. Per questo sarebbe urgente se non altro recuperare le parole giuste, come dice Recalcati nella sua interessante trasmissione notturna del lunedì: il lessico amoroso. Si potrebbe, dunque, ripartire proprio da lì, dalle parole giuste, magari quelle dei poeti o quelle scritte nelle storie degli amori antichi, intensi e disperati. Riuscire finalmente a immergersi nell’insondabile, tollerandone la profondità; avere fiducia nelle proprie capacità di sopravvivenza, anche rispetto alle cadute. Soprattutto, nel caso della fine di un amore bisognerebbe imparare a non umiliarlo e privarlo della sua dignità, trattenendone la bellezza e l’insegnamento. L’incontro con l’altro ci lascia sempre un messaggio nel cuore. Sta a noi valorizzarlo nel fallimento e renderlo humus fertile per una rinascita, sta a noi ostacolare l’inaridimento. Chi meglio dei nostri ragazzi saprà ritrovare il filo di questo discorso perduto?” Sarà l’occasione per dare nuovo senso e significato alle forme di vita in cui l’amore si sviluppa e, perché no?, anche alla festa degli innamorati.