Le nuove frontiere digitali, che hanno subito una fortissima accelerazione negli ultimi anni anche sfruttando le paure (secondo alcuni spesso amplificate ad arte) generate dalla pandemia Covid, promettono di abbattere con la tecnologia le frontiere “fisiche” del territorio, dando così una inedita prospettiva di futuro anche alla montagna italiana, spessa ridotta a terra di abbandono o a lunapark turistico per cittadini alla ricerca di evasione nella natura.

Tanto da stimolare una recente tesi di laurea magistrale in “Architettura per il progetto sostenibile” recentemente discussa al Politecnico di Torino, in cui Beatrice Aimar ha sviluppato un progetto per la riqualificazione dell’Hotel “Gran Paradis” di Campiglia Soana Costruito alla fine degli anni ‘60 da Joseph Clerico, originario di Campiglia ma emigrato a Parigi dove diventò un famoso imprenditore per aver gestito locali come “Moulin Rouge” e “Lido”, l’imponente edificio ricettivo giace ormai da molti anni in stato di semiabbandono ai margini della strada che porta al Piano dell’Azaria e al Santuario di San Besso.

Al Politecnico di Torino però si è provato a ipotizzare un nuovo futuro per questa realtà – si legge infatti in un articolo pubblicato lo scorso anno su Parks of Italy, magazine dedicato ai parchi naturali italiani – cercando di recuperare il complesso e dargli nuova vita, trasformandolo da semplice albergo in un vero e proprio villaggio per smart workers, un luogo dove chi lavora da remoto può trovare le agevolazioni di un coworking cittadino, con il vantaggio di poter godere di un panorama mozzafiato”.

Io credo fortemente che sia un progetto realizzabile, magari non interamente, almeno nell’immediato – afferma Beatrice Aimar, che ha elaborato il suo lavoro di tesi su questo esempio di “Architettura moderna in abbandono sulle Alpi” -. Alcune parti della struttura possono essere recuperate e riconvertite per altri scopi: ovviamente servirebbe una sinergia tra pubblico e privato per metterci mano. Poi, certo, la mia vuole essere anche una provocazione dettata dai tempi in cui viviamo, ma penso possa suscitare diverse riflessioni sull’utilizzo (e riutilizzo) di strutture come questa”.

Stiamo parlando di un sogno ad occhi aperti?

Di un’utopia irrealizzabile?

Chissà… forse anche per le nostre valli e montagne svuotate da decenni di spopolamento e di marginalizzazione si possono finalmente aprire a breve scenari diversi e, almeno fino a ieri, impensabili: d’altronde politici e media mainstream in questi ultimi tre anni non ci hanno ripetuto fino alla nausea che “niente sarebbe più stato come prima”?

m.p.

Redazione Web