XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

(Le Suore di Maria Stella del Mattino)

Nel Vangelo di oggi, Gesù ci parla ancora una volta in parabole. È un linguaggio che, a prima vista, sembra semplice, visto che Gesù usa immagini sensibili che aiutano l’intelligenza a riflettere. Se siamo veri, però, riconosciamo che il senso non si svela subito; dobbiamo scrutare la parola di Dio in profondità e chiederci nella verità: che cosa Gesù vuole dirmi attraverso questa parabola?

Riconosciamolo, è una parabola molto forte! Gesù però non intende fare un disquisizione tra la ricchezza e la povertà, anche se vediamo che siamo di fronte a un grande contrasto. Forse che, dal punto di vista materiale, non siamo né nella situazione del ricco, né tanto poveri come Lazzaro. Non facciamo banchetto ogni giorno… Tuttavia, la Parola di Dio ci parla.
Penso che possiamo trovare una chiave della parabola nella beatitudine dei poveri: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Anche nella nostra parabola, Gesù sembra lodare la povertà. Ma che cos’è la povertà? Di quale povertà parla Gesù? Occorre distinguere subito fra la povertà di fatto e lo spirito di povertà.

La povertà di fatto è una condizione in cui ci si trova, una mancanza: non avere il necessario per vivere. Certo, non avere niente per vivere non è di per sé una beatitudine!
Lo spirito di povertà consiste nell’essere liberi e non schiavi di quello che possediamo, consiste nel non avere nessun diritto sui doni di Dio. Tante volte monopolizziamo i doni di Dio quando dimentichiamo che abbiamo ricevuto tutto da lui.

Il problema del ricco della parabola è quella di essere soddisfatto delle sue ricchezze a tal punto da non aver più bisogno di Dio. Lo spirito di povertà, al contrario, ci mette in un atteggiamento che ci consente di considerare che è Dio, è Dio direttamente che conduce la nostra vita; siamo come un bambino nelle mani di Dio, perché è lui che si occupa della nostra vita. L’atteggiamento del povero è quello di tendere la mano, di mendicare, perché non può cavarsela da solo. Di fronte a Dio, nostro Padre, tutti siamo mendicanti: bisogna riconoscere questa dipendenza totale di Dio – è una beatitudine –, una condizione essenziale per seguire il Cristo.

Lo spirito di povertà non riguarda soltanto l’atteggiamento di fronte ai beni materiali. Bisogna essere poveri quando cerchiamo la verità, riconoscendo che non la possediamo, bisogna essere poveri di fronte agli altri, riconoscendo che non abbiamo diritti su di loro. La povertà ci apre verso gli altri, perché riconosciamo che l’altro ci supera. Facciamo fatica a volte a riconoscerlo: non siamo noi misura della realtà, abbiamo sempre qualcosa da imparare! Finalmente, senza la vera povertà interiore, non si può amare l’altro, non si può riconoscere la grandezza che si trova nell’altro.

Il vero povero spera ed è felice, perché non conta sulla sua forza, ma su Dio che non delude mai!

(Lc 16,19-31) In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho 5 fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”.
Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».