XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Quello che hai preparato, di chi sarà?
(Sr. Serena e Sr. Valentina, Monastero di Lugnacco)
I tesori accumulati per sé non valgono nulla, ma c’è una ricchezza che vale davanti a Dio. Nelle settimane scorse abbiamo incontrato il Signore nella ricca casa di Lazzaro, Marta e Maria, a cui mai, per quanto ne sappiamo, Gesù chiede di rinunciare ai loro beni per seguirlo. Eppure saranno tra gli amici e discepoli più cari.
Francesco d’Assisi chiamava “frate Jacopa” la nobildonna romana Jacopa De’ Sette Soli, sua grandissima amica. La chiamava frate, la considerava parte dell’Ordine, pur continuando lei ad essere tanto ricca e lui vero custode della signora povertà. Ma allora come funziona questa faccenda della ricchezza e del regno di Dio? Non era più facile che un cammello entrasse nella cruna di un ago che un ricco nel regno di Dio?
L’alternativa, come dice un carissimo padre contemporaneo, non è tra ricchezza e povertà, ma tra cupidigia e solidarietà. La cupidigia non funziona, l’avidità sfrenata di ricchezza e di possesso (così la definizione Treccani) non lascia presagire nulla di buono. Il Signore Gesù invita il suo interlocutore e gli ascoltatori a tenersi lontano da ogni cupidigia, a fare attenzione, perché la nostra vita non dipende dai beni accumulati. E anche se a prima vista ci sembra un’ottica idealista, fuori dalla realtà, in fondo ciascuno di noi l’ha sperimentato: ogni forma di cupidigia ci porta lontano da noi stessi, in quanto ci troviamo in balìa di un pensiero unico che ci travolge e sommerge in mille pensieri derivati e preoccupazioni per il futuro. La cupidigia ci trascina lontano dal fratello a cui ci contrappone, in antagonismo; nella brama dobbiamo per forza sacrificare qualcuno. La cupidigia, infine, ci allontana da Dio. La distrazione dalla vita di Dio è il primo effetto ad accadere, ma l’ultimo di cui ci rendiamo conto. La vita non dipende più dalla relazione con la Trinità, ci facciamo da soli, ci salviamo da soli.
Negli anni abbiamo accompagnato alcune situazioni molto pesanti inerenti all’eredità. In tutte c’era una grande ingiustizia, che, proprio perché avvenuta in famiglia, suonava visceralmente insopportabile, tanto da portare a conseguenze anche di malattia fisica. In un contesto di accompagnamento spirituale, l’attenzione al proprio cuore è stata la chiave per vivere la Pasqua e ritrovare la confidenza con il Signore; poi, in maniera inaspettata, anche la parte giuridica si è risolta (anche se la vita non funziona in modo automatico).
Venerdì 2 agosto il nostro Monastero vivrà la solennità di s. Maria alla Porziuncola e il Perdono di Assisi (che non si possono slegare). Nel 1216 Francesco dopo una grande tentazione durata diverso tempo, viene condotto alla Porziuncola e il Signore Gesù gli chiede cosa desideri. Francesco risponde: “Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”.
L’indulgenza concessa dal Papa fu poi estesa a tutte le chiese francescane e in seguito alle parrocchie. Francesco non chiede con cupidigia qualcosa per sé, ma, con il cuore largo di chi ha attraversato la Pasqua, chiede il perdono ampio e generoso per tutti. Il contrario della cupidigia è la solidarietà piena con i fratelli, non una generosità a dimensione orizzontale, pur lodevole nelle intenzioni, ma la solidarietà propria del Figlio che si è fatto carne e ha voluto dividere con noi… la sua eredità.
Il Signore si rivela attento al nostro cuore, a quello di Marta, al cuore di questo fratello; ci conceda vigilanza e larghezza nel nostro cuore, che possiamo dire con Francesco d’Assisi: “Tu sei tutta la nostra ricchezza!”