(di fabrizio dassano) Villalvernia è un paese dell’alessandrino con meno di mille anime, che non si è ancora risollevato dallo shock di quel 4 dicembre 1944 quando le “Flyng Fortress” americane lanciarono circa 100 bombe che uccisero 114 civili e ne ferirono 235, rasero al suolo 24 case, ne danneggiarono gravemente 27 mentre altre 57 subirono danni più o meno gravi. Questo il tragico bilancio per un paese che contava allora 800 abitanti – cui si aggiungevano circa 450 sfollati (di cui quasi un centinaio erano dirigenti ferrovieri da Genova) – e non aveva nemmeno una sirena d’allarme. Fu quella una giornata di grande dolore per tutti i villalverniesi, che la bufera della guerra colpiva inesorabilmente nei loro affetti più cari.
Una sorta di tragico gemellaggio con la più vicina (a noi) Pont Saint Martin, dove il 23 agosto 1944 un bombardamento americano causò 130 morti tra la popolazione e lo sventramento dell’antico centro storico. In entrambi i casi l’obbiettivo americano era la distruzione delle vie di comunicazione presenti (ponti stradali e ferroviari). In entrambi i casi i ponti rimasero intatti e le bombe centrarono in pieno le abitazioni. Vecchie storie di guerra in cui l’amico e ricercatore Roger Jouglar mi ha trascinato senza troppa fatica, come pure al recente convegno di Villalvernia in cui si è cercato ancora oggi di dare un senso a quella strage.
Già, perché i bombardamenti alleati tra il 1944 e il 1945 sono un tabù della storia che si insegna a scuola. Non riusciamo mica a spiegare a quella gente che la guerra di Mussolini ci aveva fatto stare dalla parte sbagliata e che Villalvernia, come Pont e molti altri centri piemontesi (pensiamo nel nostro piccolo ai mitragliamenti aerei del 1945 a poche ore dalla fine della guerra su Caluso e Borgo e d’Ale) non sono tedeschi. In Germania hanno dovuto fare i conti col loro passato, come dimostra l’uso di una parola – “Fremdschämen”- che è pressoché intraducibile in italiano. Ci proviamo spiegandola: grosso modo significa “provare vergogna per ciò che hanno fatto gli altri, anche di generazioni passate”. Una parola nuova che ha avuto fortuna tra i tedeschi del dopoguerra, forse figlia di quell’altra imposta dagli Alleati a Norimberga: “Entnazifizierung”, traducibile come “denazificazione dei valori sociali”.
A parte il tema, la nostra trasferta a Villalvernia è stata davvero piacevole: siamo ospiti del sindaco che ci porta a pranzo alla Società Agricola e Operaia di Mutuo Soccorso di Castellania, che è un teatro di legno della fine dell’800 la cui platea è un ristorante scaldato con le stufe. Si mangia e si beve immersi nel panorama delle dolci colline che furono del “Campionissimo” Fausto Coppi che vi nacque. La magia del luogo, i sapori del cibo e del vino ci fanno entrare in un altro mondo. La storia dei luoghi ci sovrasta: al castello è sepolto il marchese di Villalvernia, il generale Passalacqua che cadde nella “Fatal Novara” nel 1849 nelle medesime ore in cui sotto il fuoco austriaco cadde anche Ettore Perrone di San Martino di Ivrea. L’ex-re Carlo Alberto, ormai esule ad Oporto, esclamava spesso che avrebbe voluto morire a Novara come Perrone e Passalacqua, piuttosto che abdicare per aver perso la battaglia.