(testo di renato scotti – immagini di sandro frola e stefano gianuzzi) – La terza domenica di Quaresima è stata quest’anno solennizzata dalla presenza di mons. Daniele Salera, vescovo della Diocesi di Ivrea, che volentieri ha accolto l’invito rivoltoGli dal pievano don Alberto Carlevato a visitare la comunità villareggese per celebrare la santa Messa domenicale e prendere parte alla tradizionale “processione di metà Quaresima” al cimitero per la benedizione delle tombe.
Questa processione, che si svolge ogni anno la terza o la quarta domenica di Quaresima, scandita dalla recita del Rosario e che si affianca a quella del 2 novembre, offre l’occasione di una particolare preghiera per le anime dei fedeli defunti in Purgatorio affinché possano essere presto purificate e raggiungere il Paradiso.
È particolarmente significativo il suo svolgersi nel tempo quaresimale, poiché diventa occasione per «rinnovare e testimoniare la fede nella risurrezione della carne e nella vita eterna» (Benedizionale, 1992, n. 1562) che culmina con la celebrazione della santa Pasqua.
Don Alberto ha ringraziato il vescovo Daniele per la sua presenza, manifestando con sincero e fraterno sentimento il desiderio che egli potesse sentirsi accolto come a casa propria.
Sentimento condiviso ed espresso anche dal sindaco Fabrizio Salono – in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, assieme a Sara Forloni, sindaco del Consiglio Comunale dei Ragazzi e delle Ragazze (CCRR) – che nel suo messaggio di saluto ha assicurato collaborazione per un fruttuoso cammino della comunità.
A mons. Salera è stato offerto in omaggio e in ringraziamento un ricco cesto contenente prodotti tipici del territorio, fra cui il brut – un salume realizzato con le parti del maiale meno pregiate, ma ciò nonostante assai saporito – al quale sarà dedicata l’omonima Sagra, giunta ormai all’ottava edizione, che avrà luogo a Villareggia il 29 e 30 marzo prossimi.
Il canto liturgico è stato sostenuto – come sempre impeccabilmente – dalla Corale Villareggese diretta da Viviana Gerardi, con Francesco Gianetto all’organo e il M° Sandro Frola all’organo a canne.
Nella predicazione il vescovo Daniele ha commentato il Vangelo del giorno (Lc 13,1-9) in cui Gesù parla, in relazione al peccato, dei Galilei fatti ammazzare da Pilato e delle diciotto persone uccise dal crollo della torre di Sìloe; e in cui narra la parabola dell’albero di fichi che non dà frutto.
Nella prima parte, Gesù vuole correggere la falsa idea – ampiamente diffusa a quel tempo, ma ancora oggi presente – che i mali e le calamità che colpiscono una persona o più persone, addirittura un intero popolo, siano sempre diretta conseguenza della punizione divina per i peccati commessi.
«Non è così», ha affermato mons. Salera, perché «il male non viene da Dio».
Il male cagionato dagli uomini ad altri uomini rientra nella possibilità di un cattivo uso del libero arbitrio e tragedie e sofferenze «possono capitare a chiunque, anche a persone sante (…) Chi vive le tragedie, chi subisce le tragedie, chi vive nella propria vita esperienze dolorose non è più peccatore di chi passa una vita più tranquillamente. Crediamoci».
Nel passo evangelico preso in esame, Gesù invita piuttosto a considerare gli eventi tragici come un monito sul nostro modo di vivere (fondato appunto sul libero arbitrio) e sul suo possibile esito drammatico (ed eterno) alla fine dei tempi, richiamando alla conversione e alla penitenza senza le quali, Egli afferma, «perirete tutti allo stesso modo!» (Lc 13,5). (*)
Nella seconda parte del brano evangelico, narrando la parabola del fico che non dà frutto, Gesù insegna la longanimità di Dio nel trattenere il castigo, la Sua pazienza nell’attendere il nostro pentimento e la nostra conversione.
«Il padrone della vigna è Dio padre», ricorda il vescovo, e «l’albero di fichi simboleggia il popolo di Israele che da tre anni non porta frutto perché è sordo al Vangelo portato da Cristo».
I “tre anni” sono un preciso riferimento alla durata della vita pubblica di Gesù.
E il vignaiolo?
«Il vignaiolo che zappa la terra per renderla feconda tanto da aiutare l’albero dei fichi a portare frutto è Gesù, e la sua zappa è la Croce. Così Dio ci cambia. Così Dio ci converte».
Quali sono i frutti che il Signore – per dirla in parabola, zappando e concimando – si aspetta da noi?
Ammonisce il vescovo che «potremmo anche condurre una vita “corretta”, essere delle persone che si assumono le loro responsabilità», essere formalmente “a posto”, insomma; tuttavia, «per vivere così non serve la Fede.
Per vivere così non serve radunarsi per celebrare l’Eucarestia».
I frutti che il Signore ci chiede di portare «sono correlati al dono della vita; alla vittoria sul male; alla voglia di sorridere anche quando siamo in difficoltà; al desiderio di mantenere nelle nostre famiglie la pace e l’unità attraverso il perdono; alla volontà di bloccare il male perdonando le offese ricevute».
Sono i frutti dello Spirito Santo.
Per portare questi frutti dobbiamo guardare alla Croce di Cristo – a questo servono le Via Crucis, che il vescovo incoraggia – perché «guardando alla Croce di Cristo noi ci diciamo: “Guarda con quanto amore sono stato amato”, “Guarda da quale amore sono stato sottratto ad un destino di ferite e di male”».
«Guardando alla Croce – mons. Salera ha davvero molto insistito sul fissare lo sguardo su Gesù crocifisso – noi possiamo inchiodare sul legno di Cristo anche tutti i nostri mali (…) sulla Croce noi possiamo, ancora una volta, collocare il male che stiamo subendo ora o che stiamo facendo, per liberarcene».
E per liberarci dal male, per non crescere nell’amarezza, nella rabbia, nel disincanto, il vescovo invita a vivere un esercizio: «scegliete un crocifisso che vi piace particolarmente (…) e ritrovatevi a pregare di fronte a quel crocifisso consegnando su quella Croce tutte le sofferenze che avete nel cuore; o anche tutti i peccati dai quali non riuscite a separarvi; o anche tutto il male che portate sulle spalle da una vita. Vi accorgerete che pian piano, preghiera dopo preghiera, quel Crocifisso avrà preso questi vostri pesi e ve li avrà tolti», ci avrà aiutato ancora una volta «a portare quei frutti che il Signore si aspetta da noi e che da qualche tempo, secondo lo Spirito Santo, non portavamo più».
In conclusione, prima di formulare gli auguri per una fruttuosa Quaresima, il vescovo ha ricordato che come duemila anni fa, anche oggi «abbiamo bisogno del Crocifisso perché si tolga il male dalla nostra storia. Teniamo dunque stretta su di noi o davanti a noi la Croce di Cristo che rimane l’unico strumento per essere liberati e salvati».
Stat Crux dum volvitur orbis (antico motto dell’Ordine dei Certosini)
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(*) Il tema del peccato e del castigo, nella sua completezza, chiaramente non è affrontabile nello spazio ridotto ritagliato all’interno di un’omelia. Per una trattazione con taglio accessibile a tutti – ma che prende comunque in esame sia Antico che Nuovo testamento, passando per il Doctor Angelicus san Tommaso d’Aquino – ci permettiamo di segnalare tre articoli scritti da padre Riccardo Barile, O.P., per il quotidiano on-line La Nuova Bussola Quotidiana. Questi i link: 1 2 3
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