Dalla Solennità dell’Assunzione al Cielo della Beata Vergine Maria, seguendo poi l’itinerario che ripercorre la vicenda umana e spirituale di San Rocco di Montpellier, per concludere con la memoria liturgica – ieri, 20 agosto – di San Bernardo di Chiaravalle, le tre Parrocchie di Villareggia, Mazzè e Tonengo, hanno dato vita, con la guida del Parroco Don Alberto Carlevato, a quello che l’osservatore può ammirare come un “unicum”, un percorso comunitario condiviso nella preghiera, nel raccoglimento ed anche nella gioia, in quella letizia che è cifra di comunità solidali e pervase di amicizia.

Tanti momenti a proposito dei quali, nell’articolo che segue – punteggiato dalle immagini che hanno preparato Gabriele Bisco, Chiara Barberis,  Eleonora  Mila e Mirella Nigra – Elisa Moro, nell’articolo molto documentato che segue, ci aiuta a leggere in filigrana i presupposti storici oltre che spirituali.

Resta il bell’esempio che sempre queste parrocchie danno, capaci di essere davvero comunità, facendo sintesi di quanto oggi si sente così spesso giustamente indicare a proposito di “sinodalità”, “Chiesa in uscita” quale forse vagheggiava Padre Bartolomeo Sorge alludendo alla missione del cristiano di “uscire dal tempio”.

Una sintesi semplice e vera, quella che illustra un “popolo in cammino” guidato dai suoi Pastori.

Cammino condiviso con la comunità civile, nel dialogo e nell’amicizia, nella disponibilità ad aiutare il prossimo a partire dai momenti semplici, ma fondativi, come anche quest’anno si è vissuto con l’esperienza dell’Oratorio estivo, una grande opera pedagogica, formativa e ricreativa, che pone la realtà parrocchiale al centro della comunità e diventa credibile ed affidabile punto di riferimento per le famiglie.

Bello – se è permessa un’opinione – anche l’esempio che offre senza afasie Mons. Lorenzo Piretto il quale sempre si rende disponibile, con grande generosità, per dare il proprio apprezzatissimo contributo.

Un’equipe che funziona, quella attorno al Parroco, con tanti Volontari, con il Diacono Paolo Brun, il Ministrante sempre attento e sollecito Davide Carra: del resto, certi risultati non si improvvisano e sono necessariamente frutto di un “gioco di squadra”.

Ringraziamo davvero le tre Parrocchie anche per l’accoglienza che sempre riservano ai nostri servizi di informazione

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(elisa moro) – Giorni densi di preghiera e di tradizione quelli vissuti tra il 15 (già al pomeriggio del 14) agosto, solennità dell’Assunta, e il 16 agosto, festa di San Rocco, nelle Parrocchie di Villareggia, Tonengo e Mazzè.

Tanti i momenti liturgici e di festa vissuti con il Parroco, Don Alberto Carlevato, che ha saputo coinvolgere le tre comunità a lui affidate in un unico grande giorno solenne.

Partendo a ritroso, venerdì 16 agosto, festa liturgica di San Rocco, vissuta a Tonengo alle 9.30, a Mazzè alle ore 11, con la presenza di Don Stefano Revello e la solenne processione e, in conclusione a Villareggia, alle ore 18.30, con la Santa Messa celebrata da Mons. Lorenzo Piretto.

Un Santo amato e popolare San Rocco, venerato in quasi tutte le parrocchie della nostra zona e non solo, eppure con una biografia scarna e incompleta.

Nella “Histoire des saints et de la sainteté chrétienne” (Hachette), André Vauchez, Direttore dell’École Française di Roma, scrive:

” Pochi santi sono stati tanto celebri come san Rocco in Occidente, tra il XIV ed il XVII secolo, periodo che vide la diffusione del suo culto in tutti i paesi d’Europa… …Contemporanei della peste nera e della danza macabra, san Rocco fu, con la Vergine della Misericordia, l’ultimo ricorso di una umanità decimata da questa grande prova e che aspirava a ritrovare la pace del corpo e dello spirito”.

Un Santo del suo tempo…Un Santo sempre attuale, in un mondo, quello di oggi, segnato da altre pesti, forse più subdole o celate, ma non meno contagiose o mortali di quella trecentesca.

La prima biografia anonima “La Vita”, che sembra essere stata scritta in Lombardia dopo il 1430 (da Gottardo Pollastrelli discepolo ed amico del Santo), narra che la nascita di Rocco, avvenuta a Montpellier, sia dovuta a un voto fatto dai genitori.

Secondo la pia devozione, il neonato nacque con una croce vermiglia impressa nel petto, segno che lo caratterizzerà per l’intera esistenza e permetterà il suo riconoscimento dopo la morte.

Rimasto orfano ad appena vent’anni, vendette tutti i suoi averi donandoli a favore dei poveri e si mise in pellegrinaggio verso Roma, imitando Cristo pellegrino, che “non ha dove posare il capo” (Luca 9, 58).

Nel 1367, ad Acquapendente (provincia di Viterbo), si fermò per dare assistenza ai malati di peste in un ospedale e, narrano le cronache, cominciò ad operare guarigioni miracolose, tracciando il segno della croce, mettendo in pratica le parole di un Padre della Chiesa d’Oriente, Efrem il Siro:

adorna e proteggi ogni cosa con questo vittorioso segno e niente ti toccherà”.

Giunse a Roma dove, tracciando il segno di croce su un Cardinale malato di peste, lo guarì, tanto che fu accompagnato dal Papa, in segno di gratitudine.

Dopo circa tre anni, riprese il cammino verso casa, passando per Rimini, Novara e Piacenza, proseguendo la sua opera di conforto e assistenza ai malati presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme. Nel suo servizio venne contagiato dal morbo e si portò lungo le rive del Po in luogo deserto, per morire in solitudine, ma un cane lo assisteva quotidianamente, portandogli una pagnotta, similmente all’episodio biblico di Elia, nutrito da un corvo (1Re 17, 6).

Ritenuto una spia, fu arrestato nei pressi del Lago Maggiore, ad Angera e gettato nel carcere di Voghera.

Prima di morire chiese i conforti religiosi, ma si verificarono degli eventi  prodigiosi che indussero i presenti ad avvisare il Governatore. Le voci si sparsero in fretta ma, quando la porta della cella venne riaperta, Rocco era già morto.

Era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 e il 1379.

La madre del Governatore, scoperta la croce vermiglia sul suo petto, riconobbe in lui Rocco di Montpellier, la cui fama già circolava.

Il Concilio di Costanza, nel 1414, lo invocò santo per la liberazione dall’epidemia di peste.

«In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40): San Rocco è icona di questa pagina evangelica, vedendo nel povero – usando un’espressione del Beato Giacomo Cusmano – “il nascondiglio di Cristo” o, citando quanto ribadito da Papa Francesco nel messaggio della VII Giornata mondiale del povero del 2023: “la fede ci insegna che ogni povero è figlio di Dio e che in lui o in lei è presente Cristo” (n°9).

Vivere questa carità assoluta, universale, gratuita, totale e radicale – così come l’ha vissuta Rocco – apre lo sguardo all’eterno e trascendente, riflettendo sul fine escatologico che accomuna ciascun credente in Cristo, di ogni epoca È questo il senso e il significato della solennità dell’Assunzione di Maria, festeggiata in più momenti nelle tre parrocchie, che mostra ad ogni battezzato la realtà di gloria a cui è chiamato.

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Cominciando da mercoledì 14 agosto, le Messe vigiliari a Villareggia, alle ore 16, nella Chiesa di Santa Marta e a Tonengo, alle ore 17.30, in preparazione alla festa del giorno successivo.

Il 15 agosto, giorno della Solennità, l’appuntamento centrale è stato a Mazzè, per la festa della Màdona d’Aust, con la Santa Messa solenne delle 11, presieduta da Mons. Lorenzo Piretto e animata dal coro parrocchiale, concludendo poi con la processione per le vie del paese.

“Dio, in Maria, ha mostrato che l’amore è più forte della morte” – diceva Papa Benedetto XVI (15/08/2005) – “la nostra vita non viene oppressa ma elevata e allargata; proprio allora diventa grande nello splendore di Dio… Solo se Dio è grande nella nostra vita – anche in quella pubblica, con il segno della Croce, testimoniato da San Rocco – anche l’uomo è grande”.

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Martedì 20 agosto non si è mancato di fare memoria del Grande San Bernardo di Chiaravalle, presso la Cappella al Campore di Villareggia.

E vidi un sene vestito con le genti gloriose. Diffuso era per li occhi e per le gene di benigna letizia, in atto pio, quale a tenero padre si conviene” (Paradiso, XXXI, 59-63).

Così Dante presenta una delle figure più alte e note del Medioevo, contemplativo, mistico, predicatore, uomo concreto, instancabile fondatore e riformatore, dottore della Chiesa universale: San Bernardo di Chiaravalle.

Bernard de Clairvaux, Dottore della Chiesa con il titolo di Doctor Mellifluus, nacque a Fontaine-lès-Dijon nel 1090; dopo aver studiato grammatica e retorica nella scuola dei canonici di Nôtre Dame di Saint-Vorles, fece ritorno nel castello paterno di Fontaines e nel 1112 si fece monaco nel monastero cistercense di Cîteaux, fondato quindici anni prima da Roberto di Molesmes.

Nel 1115 insieme a dodici compagni, San Bernardo fondò nella diocesi di Langres il monastero di Clara Vallis, Clairvaux, di cui conservò la carica di abbas (Abate) per tutta la vita.

A lui si deve la rapida espansione dell’Ordine dei Cistercensi e la sua internazionalizzazione, anche in Italia.

Propenso più alle questioni pratiche che alla speculazione meramente intellettuale, San Bernardo ritenne che la preghiera, in particolare una sincera devozione mariana, fosse la via prediletta per la contemplazione della stessa Verità.

Questo è uno dei motivi per cui Dante, nella sua Commedia, lo sceglie come ultima delle tre “guide”, dopo Virgilio e Beatrice.

Il Santo monaco appare d’improvviso, al canto XXXI, mentre Dante con «mente sospesa» cerca Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose» (v. 58). Lo sgomento del pellegrino: «E “Ov’è ella?” subito diss’io » trova un’immediata risposta che impegna e orienta, per questi ultimi canti: «Ond’elli: “A terminar lo tuo disiro / mosse Beatrice me del loco mio» (vv. 65-66). Uno scambio rapido, che permette di ampliare l’opera dalla vicenda personale di Dante – nella figura di Beatrice – ad uno sguardo di speranza universale, donato da Colei (la Vergine Maria indicata da Bernardo) che, a sua volta, illumina l’universo: “La Vergine è l’illustre stella nata da Giacobbe, il cui raggio illumina tutto l’universo, e il cui splendore rifulge nei cieli” (san Bernardo, De laudibus Virginis Matris, Homilia II, in PL, 183, 70C).

Dante non si limita a presentare Bernardo come un saggio anziano, ma pone sulle labbra del Dottore della Chiesa la preghiera alla Vergine dell’ultimo canto del Paradiso, culmine dell’umanesimo cristiano, che inizia con due paradossi vertiginosi: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / Umile e alta più che creatura»: Maria è il compimento, la ricapitolazione del disegno salvifico del Padre e molte parole di questa preghiera, oggi adoperata anche come Inno dell’Ufficio delle Letture in onore della Madonna, sono tratte da alcune omelie realmente pronunciate da San Bernardo, di cui Dante ne era certamente a conoscenza.

“Ora mi rivolgo al nascituro e al parto verginale […] E lì si manifesta una estensione tutta raccolta, una latitudine minuta, un’altezza umile, una profondità trasparente. Lì brilla una luce che non folgora, un Verbo che tace, un’acqua assetata, un pane affamato”( De laudibus Virginis Matris, Homilia II. In Luc. I, 26, 27, in PL, 183, 65B).

Tutta la preghiera dantesca è impregnata di citazioni di san Bernardo; come nel caso del verso: «Così è germinato questo fiore» (XXXIII, 9) riscrive l’«aperta est terra laeta germinans Salvatorem » (ibid., De laudidibus Virginis Matris, Homilia I, in PL 183, 56D) da Isaia, 45, 8: «Si è aperta la terra, lieta facendo sbocciare il Salvatore».

Bernardo, infine, è colui che sprona Dante ad alzare lo sguardo e invita ogni credente a levare gli occhi al cielo, verso la Luce divina, nella consapevolezza che tutto ciò che circonda è dono, gratuità assoluta e salvifica: “Così il Signore, benevolo, che vuole che tutti gli uomini siano salvi, estrae da noi i nostri meriti: e mentre ci previene offrendoci ciò con cui ci remunera, agisce gratuitamente” (san Bernardo, De laudidibus Virginis Matris, Homilia IV, in PL, 183 , 86A).

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