(Alessandro Masseroni)

Questo breve brano di Vangelo ci introduce nel tempo ordinario dell’anno liturgico attraverso un tema fondamentale per la vita cristiana, quello della “vocazione” come incontro personale di ciascuno con Dio.

È curioso come la Chiesa, nella sua Sapienza materna, ci voglia accompagnare passo passo in questo incontro e per farlo riprende alcuni elementi del Vangelo di domenica scorsa e in particolare un compagno di viaggio: il Battista. Giovanni, qui è rappresentato come il vero maestro, quella “voce di uno che grida nel deserto” (Mc 1,3), che si “esibisce” in quello che potremmo dire il suo “canto del cigno”, anche perché dopo questo gesto, dopo quel dito puntato al grido di: “Ecce agnus Dei”, la sua vita pubblica terminerà con l’arresto e la morte per mano di Erode.

A dirci questo è l’arte, se pensiamo a tutte le raffigurazioni di Giovanni: da Leonardo in poi, in tantissimi si sono cimentati nell’immaginare quel gesto tanto semplice, quanto traboccante di significato. Il Battista, ovvero il Rabbì di quei due discepoli (Andrea e un altro non ben definito), compie un gesto forse incomprensibile oggi. In una società dominata dall’ “Io” (basti pensare al fatto che il nome dell’oggetto più venduto e desiderato al mondo oggi, inizia proprio con questa parola: “I-phone”), Giovanni parla, anzi, indica un “non-io” ovvero un “Altro da lui”, un “Tu”.

Questo “Tu” viene evidentemente frainteso da i due discepoli, i quali, pur obbedienti alla voce del loro precedente maestro, si mettono alla sequela di Gesù, ma senza rendersi conto che questi non è un semplice uomo. Seguendolo quasi fisiologicamente, senza nemmeno parlargli, alla domanda “Che cosa cercate?”, i due gli risposero con un’altra domanda “Rabbì […] dove dimori?”.

Non sapevano nemmeno bene loro cosa o chi stessero cercando, avevano solo capito che quell’incontro, appunto, avrebbe cambiato la loro vita. Il vero salto di qualità possiamo vederlo nell’ultima parte della pericope quando Andrea, incontrato suo fratello Simone, colui che verrà poi chiamato dal Signore Pietro, sente la necessità di raccontargli l’incontro avvenuto, ma in questo caso usa una parola diversa per identificare Gesù e dice: “Abbiamo trovato il Messia”.

Dalla compagnia di tutto “quel giorno [quando] rimasero con lui” ci riporta l’evangelista Giovanni, nasce una conoscenza di Gesù nuova, meno dottrinale e più personale, che apre il cuore al punto da inserire quella nota commovente dell’ora precisa a cui era avvenuto quell’incontro che gli aveva cambiato la vita “erano circa le quattro del pomeriggio”.

Allora, all’inizio di questo nuovo anno, possiamo anche noi riconoscerci in quel discepolo non ben definito che per primo con Andrea seguì il Signore e chiederci sin da subito: “Quanto tempo vogliamo dedicare al Signore ogni giorno?”. Solo così potremmo dire anche noi di averlo incontrato con la stessa semplicità di Andrea, ognuno alle proprie “quattro del pomeriggio”.

 

Gv 1,35-42

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!».
E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?».
Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro – dove dimori?».
Disse loro: «Venite e vedrete».
Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.