Questo dell’anno è un momento catartico. Lo è per molti giovani che, finito il ciclo di istruzione superiore, si trovano nel limbo post-maturità. Non si direbbe, non lo direbbero neanche loro di primo acchito: estate libera, viaggio di maturità, feste, divertimento, primi road-trip con la propria scassatissima automobile… Tutto sano divertimento che in molti casi tappa provvisoriamente un grande vuoto. O quantomeno una forte ansia ed incertezza sul futuro.

Che non sei più un bambino, l’hai capito ormai da un bel po’, ma quel pezzo di carta lo mette nero su bianco. Non sei neanche adulto, ma stai provando a diventarlo: le prime indipendenze, i lavoretti, la scelta universitaria.

Nell’estate dopo la mia Maturità andai nel Salento con i miei due amici storici: fu la più bella vacanza della mia vita. Poi però torni a casa e inizi a sentire che la realtà, che fino a quel momento era il tuo regno, inizia a diventarti un po’ stretta. Un po’ come una crisalide, è il momento di uscire dal bozzolo, abbandonare il vecchio esoscheletro, fare la muta e passare ad uno più grande che meglio aderisca alle nuove necessità. E inizi a pianificare la “fuga”. Nuova città, nuove relazioni, nuovi studi. E poi il ciclo si ripete. Nuova “fuga”.

Sarebbe banale limitare i motivi che indirizzano la scelta a quelli economici ed accademici: è innegabile ci sia anche una componente umana, o forse siamo fatti proprio così, in cerca di continui nuovi stimoli. Anche all’estero. A riguardo gli esperti parlano di “fuga di cervelli”, definizione che Wikipedia risolve indicando “persone di talento o alta specializzazione professionale formatesi in madrepatria”.

È una questione estremamente calda, tanto che mercoledì 10 luglio è stato presentato in Campidoglio a Roma un report su questo argomento, condotto da Ipsos, secondo il quale l’85% degli italiani under30 starebbe valutando di trasferirsi lontano da casa. Quanti in vista di prospettive economiche migliori? Solo il 32% per via di un’offerta di lavoro interessante, anche perché solo il 41,3% di chi lavora all’estero dopo un anno ottiene l’indeterminato.

Tra le motivazioni non vi è solo il “vil denaro”, quindi, ma anche un probabile desiderio di rivalsa e un forte senso di impotenza occlusiva, a tratti claustrofobica, nei confronti dei luoghi natali. La sfida gioca la partita umana, l’economia muove mari e monti ma non sempre è causa di “cervelli in fuga”.

Da un lato quindi niente allarmismi: è l’ennesimo svezzamento del giovane adulto; dall’altro c’è da chiedersi come intervenire per spezzare l’insofferenza verso casa. Quel che è certo è che la soluzione non è mai il limbo.